Nella sezione Cinema nel Giardino della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, trova spazio il nuovo film di Bruno Oliviero, Nato a Casal di Principe, storia di Amedeo Letizia, attore che trovò un discreto successo negli anni Novanta nella serie televisiva italiana I Ragazzi del Muretto. Questa volta però non c’è niente di inventato e vera protagonista della storia è l’indagine che Amedeo (Alessio Lapice) svolge alla fine degli anni Ottanta, quando il fratello Paolo sparisce improvvisamente. Mentre il padre imprenditore (Massimiliano Gallo) cerca di scendere a compromessi con la politica di strada e la madre (Donatella Finocchiaro) si affida a preghiere e a Sante di paese, Amedeo, aiutato unicamente dal cugino Marco (Paolo Marco Caterino), si infila nelle viscere di quella stessa provincia a cui cerca disperatamente di fuggire, trasferendosi a Roma nel tentativo di diventare attore. Quello che scoprirà sarà la lunga scia di omertà che ha scritto l’ennesima triste pagina della Camorra in Italia.
Bruno Oliviero dirige una storia vera. Non perché sia una vicenda realmente accaduta, già raccontata dallo stesso Amedeo Letizia in collaborazione con la giornalista Paola Zanuttini nel romanzo – Una Storia in sospeso e da cui il film è tratto, ma perché si schiera dalla parte di una messa in scena che, apparentemente, non vuole avere nulla di fittizio, potenzialmente fraintendibile, simbolico o aleatorio: priva di ogni retorica, la regia di Oliviero è sempre – ad eccezione di un dolly finale – fatta di macchina a mano, mai che non sia ad altezza uomo, allontanandosi così da una letteratura onnisciente in grado di raccontare una storia dall’alto e con atteggiamento distaccato. Senza cadere nel sentimentalismo e nel dramma che può facilmente scivolare nel mélo, il regista si pone come perfetto mediatore tra il pubblico e il protagonista Amedeo, che diventa quindi il motore della storia, in grado di attivare gli eventi in un plot che miscela il romanzo di formazione e il genere investigativo. Non sempre la sceneggiatura scorre felicemente, trovando a volte lacune narrative che confondono la percezione temporale del racconto. Inoltre i dialoghi, che hanno comunque il pregio di rimanere focalizzati sugli eventi, si altalenano tra lo strettissimo dialetto napoletano di difficile comprensione, e un italiano standard, certo non teatrale, nei punti critici dell’indagine investigativa che devono invece avere massima fruibilità. Lo script non trova così il giusto compromesso, trascurando quella naturalezza che invece si respira nel resto del film.
Sicuramente riuscita è stata la scelta narrativa di raccontare solo i primissimi giorni successivi alla scomparsa di Paolo Letizia, evitando totalmente la via giudiziaria, a favore invece della massima immedesimazione con la storia tutta privata della famiglia.
Lo spettatore, grazie alle interpretazioni calibrate e ad una ricostruzione storica di precisione assoluta, è completamente immerso nella Casal di Principe del 1989. Bruno Oliviero dimostra come uno stile semplice e diretto non sia sinonimo di povertà e inconsistenza, laddove l’indagine di Amedeo a favore della giustizia si sposa con quella intrapresa dal regista, che ha riportato con cura e con il giusto coinvolgimento l’atmosfera della provincia campana di fine anni Ottanta, con le sue tradizioni, la religione, il forte senso di attaccamento alla famiglia, ma che ha anche assistito al proliferare della criminalità organizzata con omertosa passività, facendo tardare di ben venticinque anni la giusta risposta giudiziaria al caso Letizia.
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Venezia 74 – Nato a Casal di Principe: la storia vera di Amedeo Letizia (recensione)
Di Elena Pisa
Bruno Oliviero dirige una storia vera, presentata nella sezione Cinema nel Giardino alla 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.