Giovanni Totaro presenta fuori concorso alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la sua opera prima, Happy Winter, il documentario con cui il regista racconta l’estate di uno stabilimento balneare palermitano, abitato quei tre mesi all’anno da numerose famiglie che accudiscono la piccola cabina del lido come fosse una vera seconda casa e non un mero ripostiglio in riva al mare. Chi si candida alle elezioni comunali e si diletta in piccoli comizi tra una partita di carte e l’altra; chi vende abusivamente birra, tè e acqua e spera per il figlio un diploma e un lavoro migliore; chi cerca tesori in fondo al mare; chi sogna una vita all’estero nonostante la giovinezza sia passata da tempo. Questi sono solo alcuni dei protagonisti ai quali Totaro si avvicina all’inizio del film con una suggestiva inquadratura dall’alto, come a voler entrare in punta di piedi in quel microcosmo che altro non è che lo specchio di un paese intero.
Il suono in presa diretta e i classici della musica italiana, accompagnati da riprese che sembrano uscire dal videoclip di una hit estiva, sono sostenuti anche da una fotografia che aumenta la saturazione dei colori e nel frattempo stende una patina afosa sulle inquadrature, presenti forse a ricordarci un passato benessere (economico, esistenziale, di salute) che gli abitanti delle cabine di Mondello cercano di raggiungere, per poi irrimediabilmente sprofondare in simulacri di spensieratezza, come una gara di canto e una partita di calcio.
Totaro usa sapientemente la macchina da presa che accompagna, più che inseguire, i protagonisti del film, tanto da farci confondere a volte il cinema del reale con una fiction, come se l’occhio curioso dello spettatore si trovasse sempre e per tutta la durata della pellicola, al posto giusto al momento giusto. Proprio quando lo stereotipo dell’italiano medio si affaccia sullo schermo, strappandoci un sorriso amaro che tanto somiglia ad una forte identificazione, ecco che Totaro entra nelle viscere degli abitanti del Lido di Mondello, e narra tante piccole storie private che momentaneamente privano quei residenti di banalità: un figlio perduto, paure mai confidate, ferite che non si sono ancora rimarginate. Tanti plot si incontrano e si dispiegano naturalmente nel corso del documentario, che sotto questo punto di vista non si accontenta di riportare qualche storia con atteggiamento distaccato, ma cerca anche di intrattenere e creare empatia tra pubblico e protagonisti, tramite inquadrature ravvicinate, primi e primissimi piani, ideali campo-controcampo che si trasformano in danze poetiche tra le righe di questo reportage impegnato.
Giovanni Totaro porta in scena la metafora del lido di Mondello per raccontare, non senza un velo di fine umorismo, come la crisi economica degli ultimi anni sia ormai la nuova condizione esistenziale degli italiani, che con amara inconsapevolezza si dimenano alla ricerca della felicità, per poi rifugiarsi in una delle mille casette, simboli di sopravvivenza di un sentimento giovanile che il regista ci regala nelle inquadrature mute di due ragazzi che si baciano, felici, nonostante la loro cabina sia vuota.
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Venezia 74 – Happy Winter: la realtà dietro la vacanza (recensione)
Di Elena Pisa
L'opera d'esordio di Giovanni Totaro racconta la complessità delle vite che si intrecciano nei mesi estivi al Lido di Mondello.