Dopo Eye on Juliet e Volubilis, il mondo arabo viene nuovamente rappresentato nella quattordicesima edizione delle Giornate degli Autori, all’interno della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dalla pellicola Looking For Oum Kulthum, lungometraggio diretto da Shirin Neshat in collaborazione con Shoja Azari che tornano insieme alla regia dopo Donne Senza Uomini.
Mitra, una filmmaker iraniana in esilio, decide di girare un film su una figura che ha lasciato un importante segno nel mondo arabo tra gli anni ‘30 e gli anni ‘60 ovvero la cantante egiziana Oum Kulthum. Oltre alle difficoltà riguardanti la fase produttiva vera e propria, alle critiche rivolte dagli attori maghrebini uomini solo per il fatto di essere una regista donna e ai produttori scettici dell’andamento del processo creativo del lungometraggio, Mitra dovrà affrontare nel suo percorso anche dei grossi problemi familiari (ha dovuto lasciare la sua famiglia in Iran) che però le permetteranno di comprendere e scoprire più in fondo la figura della sua musa ispiratrice, Oum Kulthum.
Innanzitutto questo lungometraggio è un interessantissimo esperimento di metacinema, un film nel film dove lo spettatore non riesce a comprendere in alcune scene se stia guardando effettivamente Looking for Oum Kulthum o il girato della regista protagonista, come se fosse stata la stessa Shirin Neshat a girare una pellicola su Oum Kulthum (creando una sorta di correlazione tra le intenzioni di Mitra e quella della regista di Donne Senza Uomini). Inoltre, proprio considerando questo particolare, quest’opera può essere addirittura considerata autobiografica: il personaggio principale basa il suo film sulla figura di una cantante che per essere accettata dal suo mondo doveva persino travestirsi da uomo per poter cantare; Mitra non è nient’altro che l’alter ego di Shirin Neshat perché, proprio come la nostra protagonista, è iraniana e costretta a lavorare all’estero per poter fare cinema.
Come in Donne Senza Uomini, anche qui l’impronta femminista della cineasta è molto marcata: lo si può notare nel contenuto del lavoro di Mitra, che racconta le proteste femministe degli anni ‘10 in Egitto e la vita di Oum Kulthum, e nel comportamento degli attori e della produzione nei suoi confronti. Forse su questo punto la Neshat ha calcato un pò troppo la mano quasi giustificando alcuni comportamenti della protagonista, che gli spettatori potrebbero percepire come capricci e non come legittime indecisioni e ripensamenti di un’artista. Alcune scene di Looking for Oum Kulthum sono superflue ed eccessivamente lente, specie quelle che rappresentano gli stati onirici del main character (quasi a voler riempire forzatamente i 90 minuti di durata del lungometraggio). Questo rende ancora più chiare le intenzioni dell’autrice, indurre lo spettatore a soffermarsi non tanto sul film girato e diretto da Shirin Neshat bensì su quello girato dal suo alter ego: non è un caso che le scene più interessanti di Looking for Oum Kulthum siano proprio quelle dell’opera di finzione della sua protagonista.
Looking For Oum Kulthum: la dura vita di una regista islamica (recensione)
Presentata a Venezia nella sezione delle Giornate degli Autori, l’opera metacinematografica di Shirin Neshat riflette la condizione della donna nel cinema musulmano.