Il 2017 è l’anno di Philip K. Dick: per festeggiare i 35 anni di Blade Runner a settembre verrà rilasciata una versione 4K UHD, restaurata e rimasterizzata del Final Cut di Ridley Scott, Amazon ha rinnovato la terza stagione di Man In the High Castle (ispirata al romanzo dickiano La Svastica Sul Sole) e Blade Runner 2049 uscirà tra qualche settimana nelle sale di tutto il mondo per quello che sarà l’evento cinematografico della stagione. Non è dunque un caso che la scorsa domenica sulla rete britannica Channel 4, orfana di Black Mirror e del suo autore Charlie Brooker, abbia debuttato una nuova serie TV ispirata proprio ai racconti dell’autore statunitense. Philip K. Dick’s Electric Dreams è uno show antologico in dieci episodi ispirati ad altrettante opere brevi dello scrittore di Chicago riadattate da una squadra di sceneggiatori notevolissimi (fra tutti Ronald D. Moore di Outlander e Battlestar Galactica, Jessica Mecklenburg di Stranger Things e David Farr di The Night Manager) e con un cast che comprende Bryan Cranston (produttore anche della serie), Steve Buscemi, Vera Farmiga e Richard Madden.
Il fabbricante di cappucci
Proprio Madden, il Robb Stark di Games Of Thrones, è il protagonista dell’episodio pilota, The Hood Maker, basato sull’omonimo racconto di Dick degli anni Cinquanta. Madden è l’agente di polizia Ross che in una Londra distopica si occupa di applicare la legge “anti-immunità”, una regolamentazione governativa che costringe la popolazione a farsi leggere il pensiero dai Tel, essere umani con il dono della telepatia. La legge, utile a reprimere ogni forma di sovversione, viene aggirata da una misteriosa organizzazione che inizia a fabbricare cappucci in grado di impedire la lettura del pensiero. L’agente Ross, per indagare sul “fabbricante di cappucci”, si farà aiutare da Honor, una ragazza telepatica interpretata qui da una bravissima Holliday Grainger (qualcuno la ricorderà nelle vesti della Lucrezia Borgia nella serie Showtime The Borgias).
Intercettazioni della mente
Ecco, solo leggendo la sinossi di The Hood Maker ci accorgiamo dell’incredibile capacità visionaria di Philip K. Dick, che già negli anni ‘50 del secolo scorso immaginava una società basata sul controllo delle comunicazioni fra esseri umani. Un controllo non tecnologico ma psichico: una vera e propria intercettazione delle mente. Troppo facile per lo sceneggiatore Matthew Graham attualizzare il contesto creato da Dick declinandolo in uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, il tecnocontrollo e i programmi di sorveglianza di massa. Quello di The Hood Maker – pur completamente privo di tecnologia e derivati tecnologici – è infatti un mondo fittizio altamente comparabile con il nostro presente, una metafora lucidissima della rete Internet con le persone nel “ruolo” delle “macchine” da controllare, i Tel in quello dei software utilizzati per farlo e i “cappucci” che fungono da firewall per proteggere pensieri, dati e sentimenti. Dick riprenderà nel 1956 il concetto di telepatia governativa in un’ottica ancora più distopica e politica nel suo The Minority Report attraverso l’invenzione dei precog, esseri umani capaci di leggere il futuro e utilizzati per prevenire i crimini. Steven Spielberg nel 2002 ha scelto proprio quell’immaginario per realizzare un film in cui si criticava il Patrioct Act promulgato dagli Stati Uniti appena dopo l’11 settembre.
Un futuro espressionista
Tutto questo viene rappresentato dal regista Julian Jarrold in un futuro tutt’altro che futuristico. Ben lontano dalle ambientazioni fredde e tecnocratiche di Black Mirror, quello di The Hood Maker è un futuro espressionista, magmatico, disordinato: la stessa Londra è raccontata come una baraccopoli oscura e viscida, con uno stile cyberpunk che ricorda molto Blade Runner; anche la distopia ha una valenza che non è mai retorica e consolante. Il futuro di Dick lascia spazio agli archetipi del passato, alla filosofia, alla politica, al paranormale e all’amore: in due parole i futuri dello scrittore americano sono concentrazioni di caos e di vita, allo stesso tempo tanto allucinati quanto profetici. Seguendo fedelmente questa inclinazione narrativa, The Hood Maker rielabora alla perfezione le ossessioni e le paranoie dell’autore capovolgendo la narrazioni su più fronti, interscambiando nemici e alleati, confondendo punti di vista, morali e riflessioni. Nulla è come sembra davvero: in quello che stiamo vivendo c’è sempre posto per qualcosa di peggiore e di non calcolato.
Si dimostra dunque all’altezza delle aspettative Philip Dick’s Electric Dreams esordendo con un affresco fedelmente dickiano, capace di non tradire la fiducia dei fan dello scrittore e allo stesso tempo di proiettare la sua fantascienza fin dentro al nostro quotidiano. Una fantascienza che, a quanto pare, rimane ancora una delle più preziose fonti narrative da cui attingere per partorire quelle realtà futuristiche che ci parlano del presente.