Il titolo di The Private Life Of A Modern Woman, pellicola di James Toback presentata fuori concorso alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, potrebbe risultare fuorviante, più pruriginoso di quanto in realtà non voglia essere il film.
Questo perché la brevissima pellicola – appena 71 minuti – che ha per protagonista la talentuosa attrice e modella americana Sienna Miller (American Sniper, Civiltà Perduta, Foxcatcher) è una snella ma rigorosa indagine sulla tempesta che travolge la vita di una giovane donna, provata mentalmente e moralmente da un evento traumatico.
Il tono del lavoro di Toback è sorprendentemente serioso, quasi compiaciuto, eppure la realizzazione è tanto curata (soprattutto alla luce di un budget particolarmente contenuto) da suscitare nello spettatore più cinefilo un certo interesse. I solenni e sfuggenti passaggi in do maggiore della VII sinfonia di Shostakovich, la ‘Leningrado’, si insinuano a più riprese tra le immagini dai colori fortemente virati di The Private Life Of A Modern Woman, mentre Sienna Miller offre una performance così magnetica e così teatrale da portare lo spettatore a chiedersi perché fino ad ora non le siano stati affidati ruoli di maggior prestigio e visibilità.
La storia – anch’essa teatrale, giacché si svolge prevalentemente nell’appartamento della protagonista – è quella di Vera Lockman (la Miller), un’attrice che nasconde in un baule nel proprio loft il corpo dell’ex boyfriend tossicomane, da lei ucciso il giorno prima. Vera, in una situazione che non può non riportare alla mente il Nodo alla Gola di Hitchcockiana memoria, riceve le visite di personaggi che si alternano come in una pièce, siano essi figure familiari o presagi indagatori (il riferimento è al detective McCutcheon, interpretato da Alec Baldwin). L’unica fuga che accompagna lo spettatore fuori da quell’ambiente così ambiguo, al contempo tana in cui cercare protezione e luogo del delitto, è il viaggio di Vera verso un lago nel quale disfarsi del corpo. Sforzo probabilmente vano, come suggerisce il finale aperto che vede lo sguardo dell’indagata e dell’indagatore incontrarsi in un momento di rara chiarezza.
La pellicola di Toback colpisce non tanto per il suo intreccio, piuttosto rivisto e relegato a un tempo di sviluppo scarno che potrebbe anche penalizzare la distribuzione in sala, quanto per la forza espressionista con cui il regista vuole trascinarci nella tempesta emotiva che priva la protagonista della sua lucidità. Il ricorso alle partiture di Shostakovich è un espediente inusuale e particolarmente riuscito, poiché crea una straniante sensazione di solennità che mal si concilia con la natura intima dei turbamenti di Vera, che sono il focus della pellicola. A fare irruzione in svariati momenti del film sono anche altri elementi significativi, quasi simbolici: dalla riflessione sul tema dell’assassinio in Dostoevsky e Dickens alle perverse fantasie del visionario dipinto quattrocentesco Il Giardino delle Delizie di Bosch, passando per l’Alzheimer che separa il nonno della protagonista da una nipote che è incapace di riconoscere.
Non un lavoro esemplare, certo, né un film indimenticabile; ma un’opera in cui non mancano gli spunti e una certa visione artistica. Se solo Toback riuscisse a schiarirsi le idee come succede alla fine al personaggio interpretato da Sienna Miller, potrebbe probabilmente confezionare un lavoro di grande completezza. Purtroppo non è questo il caso.