Quello che traspare dagli articoli che in questi giorni imperversano sulla Rete e sui giornali è che il ministro Dario Franceschini vorrebbe impedirci di vedere le serie tv americane che tanto amiamo. Ma le cose stanno davvero così?
All’inizio era una notizia per gli addetti ai lavori, poi è stata buttata nel frullatore dei media insieme ad un po’ di inesattezze e valutazioni di parte (spesso spinte dalla politica) perché si facesse abbastanza confusione per distorcerne il significato e renderla inaccettabile agli occhi del pubblico. Ma facciamo un passo indietro. Il Ministro Franceschini, all’interno del suo pacchetto legislativo inerente la riforma delle discipline per il cinema, la tv e lo spettacolo dal vivo ha inserito una norma che impone a chi guadagna in Italia di investire una percentuale rilevante degli introiti netti nella realizzazione di prodotti audiovisivi italiani ed europei. La precedente normativa prevedeva il 15% per RAI e il 10% per tutti gli altri, la proposta di Franceschini raddoppierebbe le quote portando nel 2019 RAI al 30% (di cui il 15% per le produzioni italiane) e tutti gli altri al 20% (di cui il 10% per le produzioni italiane). Quindi se guadagni in Italia devi investire in Italia. Esattamente come funziona in Francia, dove esiste un’industria dell’audiovisivo degna di questo nome. Il che vuol dire acquistare meno prodotti all’estero (e non stiamo parlando di Breaking Bad) e favorire lo sviluppo della filiera italiana con la speranza di tirarci fuori dallo stagno in cui siamo impantanati dopo i primati degli anni Sessanta.
Quelli che hanno (apparentemente) da perderci sono i broadcaster, ovvero le emittenti come RAI, Mediaset, Sky, Fox, Netflix, Amazon ecc. Perché invece di spendere poco denaro per acquistare i diritti di trasmissione di un prodotto già realizzato, o nel caso delle aziende non italiane di localizzare uno show da loro prodotto altrove, sarebbero obbligati a produrre in Italia. Da qui l’attacco alla norma con la potenza di fuoco di tutti i loro media.
Perché quelli che hanno da guadagnarci sono nell’immediato tutti i soggetti coinvolti nelle produzioni: produttori, sceneggiatori, registi, attori, certo. Ma anche tecnici di ripresa, elettricisti, macchinisti, fonici, scenografi, costumisti, parrucchieri, truccatori, catering, montatori, colorist, musicisti, tecnici dei VFX e degli SFX, stuntman, comparse, autisti, service di noleggio, teatri di posa, artigiani, ristoratori, albergatori, cassieri, distributori cinematografici, pubblicitari, grafici, esercenti dei cinema, maschere, personale di servizio e per la messa in onda tutti coloro che lavorano nella progettazione, produzione e vendita della tecnologia che consente la fruizione audiovisiva, dal computer al televisore allo smartphone. E molti altri. Se ci pensiamo è un mare di lavoratori. Ecco perché a sostegno della proposta si sono espressi invece in un comunicato congiunto del 25 settembre le associazioni degli autori italiani 100autori, ANAC, ASIFA, Doc/it e Writers Guild Italia.
Ma poniamo caso che questo non ci interessi e che ad interessarci sia solo la qualità delle serie e dei film ai quali dedichiamo il nostro tempo libero. Molti prodotti italiani ci lasciano tiepidi o contrariati perché non sono al livello della concorrenza internazionale e la produzione nostrana, salvo alcune eccezioni virtuose (si pensi a Gomorra, Suburra, Boris, The Young Pope, Romanzo Criminale, 1992, i Medici), semplicemente non ci soddisfa, non ci piace. E quindi chi vuole affossare questa norma ci chiede: ma davvero volete vedere più di questa roba invece di Game of Thrones?
La verità è che se non rafforziamo la produzione italiana, ristrutturiamo l’industria, apriamo il mercato e non ci mettiamo a competere con i prodotti internazionali – anche studiando co-produzioni virtuose, come è stato fatto da alcuni tra i più lungimiranti – semplicemente i prodotti audiovisivi italiani si estingueranno fagocitati da quelli degli altri Paesi, fatti meglio e più economici da acquistare e localizzare.
Riforma Franceschini: davvero non vedremo più serie americane in Italia?
In questi giorni c'è un ingiustificato allarmismo sulla riforma delle quote di utili da reinvestire nell'audiovisivo. Facciamo chiarezza.