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Accettare di girare il sequel di un capolavoro come Blade Runner è un’impresa molto rischiosa: le possibilità di successo sono poche e lo straordinario regista Denis Villeneuve (Arrival, Sicario. Enemy Prisoners) lo sa bene.
Abbiamo incontrato il cineasta Canadese in occasione della promozione del suo Blade Runner 2049, seguito del film del 1982 di Ridley Scott che uscirà nei nostri cinema giovedì 5 ottobre e che vede il ritorno di Harrison Ford al fianco del nuovo protagonista, Ryan Gosling. Sono molti i dettagli emersi dalle parole di Villeneuve, che si è addirittura lasciato sfuggire che questo potrebbe essere il miglior film della sua carriera. Una storia nuova, ma rispettosa della pellicola uscita 35 anni fa.
«Come accadeva nel film originale – ricorda Villeneuve – siamo in un futuro in cui i viaggi spaziali sono qualcosa di normale e i replicanti sono degli androidi concepiti per aiutare gli uomini, specialmente nelle colonie extra-terrestri La Terra infatti è ormai un luogo ostile e al di fuori del sistema solare ci sono altri pianeti molto più ospitali, sui quali gli uomini desiderano andare e dove i replicanti sono un aiuto fondamentale.»
1) L’ISPIRAZIONE VIENE DA FRANKENSTEIN
«Per ragionare sul sequel ho pensato molto al capolavoro di Mary Shelley, Frankenstein, o il moderno Prometeo. Quella dei replicanti, da un punto di vista narrativo, è una vicenda molto simile a quella di Frankenstein: questi umani sintetici vengono progettati con le migliori intenzioni, ma presto sorgono dei problemi e le creature acquisiscono una consapevolezza disperata, diventando così un pericolo per i propri creatori. Nel primo film sono illegali sulla Terra, ma sono molto difficili da individuare perché quasi indistinguibili dagli esseri umani. È proprio questo uno dei punti più belli della storia: sono in tutto e per tutto simili agli uomini veri e condividono un’esperienza di vita molto simile. Nonostante ciò, la loro esistenza sul pianeta Terra è proibita e dei cacciatori di replicanti chiamati blade runner hanno il compito di ‘mandarli in pensione’ (cioè ucciderli). Nel sequel però ci sono anche differenze sostanziali.»
2) IL CROLLO DEL CLIMA TRA IL PRIMO E IL SECONDO FILM
«La visione del futuro del primo Blade Runner era decisamente forte: esteticamente molto bella ma anche da incubo. In Blade Runner 2049 c’è una sorta di estensione di questa idea: nel frattempo le cose non sono andate per il meglio. Le condizioni climatiche hanno avuto un tracollo e l’ecosistema è collassato; i protagonisti del film stanno cercando di sopravvivere. A Los Angeles nevica, gli oceani si sono innalzati e le città hanno dovuto costruire delle barriere per proteggersi dalle acque.»
3) UN FUTURO SENZA INTERNET: L’INTRODUZIONE DEL ‘BLACKOUT’
«Per uno sceneggiatore l’esistenza di Internet è un incubo. Non c’è niente di più noioso di una detective story in cui il detective è bloccato dietro una scrivania, al computer, a cercare indizi su Google. Credo che gli sceneggiatori siano stati molto intelligenti a suggerire l’idea che tra il primo e il secondo film ci sia stato un evento che hanno chiamato il Blackout.
Il Blackout è un impulso elettro-magnetico (EMP) su larghissima scala, che ha distrutto quasi tutti i dati digitali conservati dall’umanità e ci ha convinti a fare meno affidamento sulla tecnologia digitale e a tornare all’analogico. Credo che questo spunto sia anche uno strumento straordinario per parlare di noi e del nostro rapporto con la memoria: il mondo digitale è così potente eppure così fragile, e mi piaceva l’idea di ragionare su questa fragilità e sul fatto che il protagonista del film dovesse sporcarsi le mani, camminare nel fango e incontrare persone anziché restare semplicemente seduto dietro una tastiera.»
4) LO SCENEGGIATORE DEL PRIMO FILM HA SUGGERITO RYAN GOSLING
«Quando Hampton Fancher, già co-sceneggiatore del primo Blade Runner, fu contattato dal produttore Ridley Scott per scrivere quello che poi sarebbe diventato Blade Runner 2049, pensò subito a Ryan Gosling nei panni del protagonista e Scott fu entusiasta dell’idea. Quando poi Scott mi propose la regia del film, mi ventilò la possibilità; suggerì l’idea ma mi lasciò tutta la libertà discrezionale di cui avevo bisogno. Pensai che la scelta era fantastica e, tanto più che la parte era stata scritta avendo in mente Ryan Gosling nei panni del personaggio, era difficile immaginare qualcun altro.»
Perché proprio Gosling? «Mi piacciono gli attori che non ‘interpretano’ il personaggio davanti alla telecamera ma che, in qualche modo, sono già il personaggio con tutta la loro fisicità e spontaneità, che ‘lo incarnano’. Ryan Gosling apporta una tale ‘presenza’, una tale autenticità al personaggio anche senza muoversi, senza battere ciglio… Ha un grande carisma ma può anche rendere emozioni molto sfuggenti, lavorare con le sfumature. Quando mi chiedono perché abbia scelto proprio lui, alla fine, la risposta potrebbe essere semplicemente che è un attore fantastico. Ryan è presente in quasi ogni inquadratura del film, ne porta interamente il peso sullo proprie spalle, e per questo dovevo essere sicuro di avere qualcuno all’altezza.»
5) IL REGISTA HA PROVINATO OGNI SINGOLA COMPARSA
«Girare un film di Blade Runner è quasi come girare un film in costume: non puoi mettere volti qualsiasi sullo schermo, e per questo ho voluto seguire personalmente anche il casting delle comparse. Di ogni singola comparsa. Ho provinato migliaia e migliaia di attori, scegliendo con attenzione anche i figuranti più defilati. È difficile da spiegare, ma solo alcuni tipi di persone possono avere un posto nell’immaginario di Blade Runner.»
6) LA RICETTA SEGRETA DI BLADE RUNNER
«Amavo il primo Blade Runner e sono subito rimasto colpito dallo script di Blade Runner 2049: nel primo film Deckard è un cacciatore di taglie che lavora per la polizia, ed è fantastico, ma in questo film il mondo che raccontiamo è più complesso e anche la storia, di conseguenza, lo è.
Blade Runner ha rappresentato poi una pietra miliare per la storia del cinema anche da un punto visivo e, più generalmente, estetico. Ridley Scott ha usato la luce per creare quelle atmosfere cupe, fumose, nebbiose, e quando con il direttore della fotografia Roger Deakins ci siamo messi al lavoro sul sequel, abbiamo subito deciso di creare un universo immediatamente familiare ma non identico.
Ad esempio le strade della Los Angeles futuristica di Scott sono ancora riconoscibilissime, le cose non sono cambiate molto, eppure è evidente che in qualche modo siano peggiorate. Inoltre il clima ora è diverso, è più freddo.
Tutti questi elementi contribuiscono a creare un ambiente creativamente molto stimolante in cui costruire la storia e le atmosfere. Direi che se c’è una ricetta segreta per Blade Runner, gli ingredienti sono malinconia, solitudine, foschia ed esistenzialismo»
7) LA FOTOGRAFIA RICHIAMA I COLORI DELL’INVERNO (E IL GIALLO)
«La qualità della luce è sempre un elemento molto importante per me; è qualcosa su cui rifletto sempre con attenzione prima di ogni film. In questo caso ci sono molti momenti ‘scuri’, come nel primo Blade Runner, ma c’è anche molto bianco e molto argento; colori presi dal nord del pianeta. È una cosa che ha molto ispirato l’autore della fotografia Roger Deakins e ci siamo messi insieme a studiare una paletta di colori coerente col film di Scott ma che fosse anche molto ‘invernale’.
È raro per un regista poter avere il totale controllo su un’opera, e scegliere nel dettaglio i colori del film è qualcosa che mi ha aiutato molto a creare. Nel film un colore molto importante è anche il giallo, che è un colore che per me rimanda (tra le altre cose) all’infanzia ed è molto difficile da utilizzare per un direttore della fotografia. Ma d’altronde Roger è il migliore al mondo nel suo lavoro, e ha immediatamente accettato la sfida.»
8) GIRARE COME UNA VOLTA: I SET REALI AL POSTO DEI GREEN SCREEN
«Certo, quando giri un film di fantascienza la CGI è molto importante, ma una delle nostre prime decisioni è stata quella di costruire realmente ogni singolo set. È qualcosa che alza vertiginosamente i costi di una produzione, ma ha un impatto importantissimo sulle performance degli attori. Ogni interprete a cui proponevo il film mi faceva la stessa domanda: voleva sapere se sarebbe stato costretto a recitare tutto il tempo davanti a dei green screen.
Noi abbiamo costruito il più possibile, anche magari tratti di strada che si vedevano al di fuori di una finestra. Questo modo di fare film è superato da anni, ma credo sia l’unico modo per permettere agli attori di non distrarsi, di non dover pensare a quel che devono immaginarsi ma solo a calarsi pienamente nel personaggio e ad interagire con gli altri sul set. Quella di avere dei set reali è stata anche una delle condizioni che ho posto alla produzione per poter accettare la direzione del film.»
LA RESPONSABILITÀ DI FARE IL SEQUEL DI UN CAPOLAVORO
«Non ho accettato alla leggera di dirigere Blade Runner 2049: ci ho pensato per settimane, forse mesi. Ho detto di sì solo quando mi sono convinto di poter portare la storia sullo schermo nel migliore dei modi, con tutta la sua ricchezza e potenza, e quando ho fatto pace con l’impossibilità di prevederne l’accoglienza da parte del pubblico.
Quando giri il seguito di un capolavoro, sai che le possibilità di successo sono veramente poche, ed è solo quando accetti l’eventualità di fallire che riacquisti la tua libertà creativa. Ho girato questo film animato da puro amore per il cinema, mi sono concentrato sul piacere di farlo e non sull’idea del risultato finale, e questa penso sia la miglior premessa con cui un regista possa raffrontarsi.
Ho sempre visto il cinema come una forma d’arte, e non esiste arte senza rischio. Non vedo l’ora di condividere il risultato col pubblico, anche perché penso che forse possa essere il mio miglior film in assoluto.»