“La teatralità e l’inganno sono strumenti potenti. Devi diventare più che un uomo agli occhi del tuo avversario”. È questo il primo insegnamento che il giovane Bruce Wayne riceve dal misterioso maestro Ducard, eppure lo stesso credo sembra averlo seguito Christopher Nolan. È mai possibile che anche lui abbia fatto parte della famigerata Setta delle Ombre? Improbabile, eppure le analogie tra personaggio e regista sono evidenti.
Ma “teatralità” e “inganno” sono due parole che descrivono perfettamente anche le opere di Giovan Battista Piranesi, famoso architetto-incisore del Settecento che sembra in effetti aver avuto più di qualche influenza anche sul regista americano che a Hollywood in molti considerano il più geniale di quest’ultimo decennio.
L’inatteso rapporto tra i due è stato sviscerato durante un bel convegno tenutosi a Palazzo Braschi in questi ultimissimi giorni di apertura al pubblico della celebrata mostra Piranesi – La Fabbrica dell’Utopia, che si concluderà domenica 15 ottobre. I relatori Andrea Minuz, docente di Cinema alla Sapienza, Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali e Luigi Ficacci, il curatore della mostra hanno dato vita ad uno stimolante confronto dal titolo appunto Invenzione del Luogo in Christopher Nolan e Piranesi.
Sin dai primi interventi è emerso chiaramente che Piranesi, in anticipo di un paio di secoli, ha rappresentato un riferimento costante per la settima arte già dai suoi primordi. Le Carceri soprattutto, il celeberrimo ciclo di vedute inquietante ma al tempo stesso affascinante, è stato da sempre una suggestione a cui i registi hanno guardato. Sergej Ėjzenštejn fu probabilmente il primo: il maestro del cinema sovietico teorizzò sostanzialmente la scienza cinematografica e in uno dei suoi testi, Il Montaggio, fa un esplicito riferimento a Piranesi di cui apprezzava proprio il ciclo de Le carceri per sua struttura narrativa che invitava lo spettatore ad osservare le immagini appunto in sequenza.
Poi ovviamente le stranianti incisioni dell’artista servirono da punto di partenza per la creazione di scenografie oggi a tutti ben note: la Metropolis di Fritz Lang, una cupa e fantascientifica Los Angeles in Blade Runner o la Zion di Matrix su tutte.
Ecco che a questo punto fa la sua comparsa Nolan. Il regista inglese pare aver attinto al repertorio piranesiano a piene mani. Sia dal punto di vista visivo – sarebbe fin troppo facile citare i paradossali scenari di Inception – ma soprattutto, e questo è meno scontato, dal punto di vista narrativo.
Se infatti alcune ambientazioni dei suoi film, tra i quali non possiamo certo dimenticare soprattutto la trilogia composta da Batman Begins, Il Cavaliere Oscuro e Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno o Interstellar, citano apertamente i paradossi visivi de Le Carceri – probabilmente filtrati anche attraverso le incisioni dell’altro grande “illusionista” che risponde al nome di Maurits Cornelis Escher – quasi tutti i film di Nolan sembrano invece costruire o, per meglio dire, de-costruire la linea narrativa in un groviglio temporale quasi inestricabile.
Come ha infatti sottolineato il prof. Minuz, per decenni la struttura narrativa della maggior parte dei film ha seguito uno schema piuttosto semplice e logico: un andamento fondamentalmente tripartitico, quasi “aristotelico” (cit.), in cui ad un’inizio seguivano solitamente una narrazione ed una conclusione. Ebbene, soprattutto a partire dai primi anni novanta, questa solida e collaudata struttura inizia a venir messa in crisi per essere sempre più spesso scardinata e scomposta. Christopher Nolan è un fuoriclasse in questo aspetto. Tutti i suoi film si frammentano in un andamento temporale che potremmo definire “relativistico” in cui il tempo viene deformato dai protagonisti e persino dalla storia stessa quasi come se lo svolgimento seguisse il percorso infinito delle Scale di Penrose. Potremmo citare a questo proposito ancora una volta Inception – l’esempio più calzante – ma senza tuttavia dimenticarci anche del recente Dunkirk: un capolavoro del cinema di guerra in cui però l’orizzonte temporale dei tre episodi che lo compongono viene deformato creando un vertiginoso effetto di straniamento.
Insomma, Piranesi non poteva certo saperlo, ma quel cervellotico mondo di intrigati camminamenti che aveva creato avrebbe affascinato gli artisti delle epoche successive tanto da influenzarne l’opera, trasformandosi – nel caso del medium cinematografico – da mondi immaginari in scenografie e poi in storie. Piranesi, che pure aveva asservito la sua creatività a rigide regole costruttive (è stato dimostrato attraverso appositi modelli che Le Carceri, se realmente costruite, sarebbero una struttura perfettamente solida e stabile) è stato capace come pochi altri di contribuire alla genesi di un modo di raccontare per immagini che è ancora oggi fantascientifico.