Da quando ha fatto il suo debutto in Italia, nel dicembre del 2016, Amazon Prime Video ha sempre offerto all’interno del catalogo prodotti seriali interessanti: oltre agli Original Amazon, può vantare show importanti come American Gods e The Path e grandi titoli del passato come Justified e The Shield. Uno dei suoi fiori all’occhiello è sicuramente Preacher, la serie del canale americano basic cable AMC arrivata alla sua seconda stagione. L’opera ispirata al fumetto di Garth Ennis e Steve Dillon doveva confermare quanto di buono ha fatto vedere lo scorso anno e, pur evidenziando problemi cronici, Preacher dimostra ancora una volta il suo valore.
Questa seconda annata è incentrata sul viaggio dei tre protagonisti a New Orleans.
Jesse (Dominic Cooper), Tulip (Ruth Negga) e il vampiro Cassidy (Joseph Gilgun) partono per la Louisiana alla ricerca letterale di Dio (nessuno infatti ha idea di dove si trovi) ma devono guardarsi le spalle dal Santo degli Assassini (Graham McTanish), incaricato di uccidere Jesse con qualsiasi mezzo a disposizione. Oltre a ciò, anche la potente associazione segreta del Grail, guidata dallo spietato Herr Starr (Pip Torrens), darà parecchio filo da torcere ai nostri eroi cercando di utilizzare Jesse per i propri scopi.
Se a livello di trama Preacher non compie grandi passi in avanti, lo show comunque spicca per originalità e brillantezza.
Nessuno si aspetta che Preacher diventi la miglior serie nel panorama televisivo americano e per questo motivo risulta difficile poter fare un confronto con i prodotti di punta che stanno illuminando l’attuale Golden Age della televisione: prima di tutto perché Preacher non può permettersi di sprigionare tutto il suo potenziale (ritorneremo a breve sulla questione) e, trattandosi di uno show che non si prende sul serio, il suo lato demenziale porta gli spettatori a sottovalutare il messaggio di fondo. La creatura di Seth Rogen, Evan Goldberg e Sam Catlin, avendo a disposizione ben tredici episodi, quest’anno intraprende un approccio on the road per sviluppare in maniera più approfondita i tre personaggi principali, mostrando tutte le loro fragilità e contraddizioni (in primis, la complicata love story tra Jesse e Tulip).
Preacher è uno show a due facce: visivamente è una delle serie più interessanti oggi in circolazione, grazie all’inventiva di Rogen e Goldberg dietro la macchina da presa (i due hanno diretto il pilot e i primi episodi della nuova stagione) e al lavoro di Michael Slovis, lo storico direttore della fotografia di Breaking Bad. Il discorso cambia per quanto riguarda invece lo script, l’elemento di maggior criticità del prodotto AMC per la gestione non ottimale del materiale proveniente dall’opera originale. Sia chiaro, il livello della scrittura è alto (lo showrunner è Sam Catlin, uno che ha contribuito a rendere Breaking Bad un capolavoro) ma sembra che Preacher, pur con tutte le sue trovate geniali, soffra della “sindrome The Walking Dead”. Facendo attenzione con i paragoni (Preacher ha una natura più anarchica e dissacrante di TWD), le due serie hanno lo stesso problema: nonostante i molti episodi a disposizione nell’arco di una stagione, la trama procede come se avesse il freno a mano tirato. E’ vero che le puntate filler servono ad uno show per contenere i costi e dar respiro alla narrazione ma l’uso smodato incide parecchio sulla qualità generale e Preacher, nonostante abbia introdotto nuovi personaggi importanti (come Herr Starr), commette lo stesso errore del campione di ascolti della AMC.
Inoltre, l’altro grande dilemma di Preacher è quello di non poter esprimersi al meglio per le limitazioni imposte dal suo network: nonostante la sua carica eversiva e blasfema, la serie non può riproporre sul piccolo schermo tutto l’eccesso presente nei fumetti perché la AMC è un canale storicamente molto attento ai contenuti e, per quanto riguarda il turpiloquio (The Walking Dead solo ora ha avuto un parziale via libera) e la rappresentazione esplicita del sesso, ha delle politiche molto rigide che inevitabilmente condizionano il prodotto finale.
Preacher ha tutte le carte in regola per diventare un cult: un cast fantastico, una forte personalità e una messa in scena straordinariamente iconica; il cliffhanger del season finale getta le basi per una terza stagione adrenalinica (nonostante non sia stata ancora ufficialmente annunciata, è difficile che AMC non la rinnovi) ma Sam Catlin e i suoi autori devono decisamente cambiare passo per valorizzare un’opera potenzialmente esplosiva.