Harry Hole è un detective con un problema di alcolismo e dai modi inusuali, ma anche dall’indubbio talento (è suonato l’allarme cliché?). Quando inizia la stagione delle nevicate e viene trovato il cadavere sezionato di una donna, questo investigatore problematico con il volto di Michael Fassbender inizia a indagare sul crimine e presto ricollega l’omicidio a dei casi analoghi vecchi di decenni. Il dubbio è che sia tornato in attività il serial killer noto come “l’uomo di neve”, e ora il suo unico scopo è fermarlo prima che colpisca ancora.
L’Uomo di Neve è un film che sulla carta dovrebbe risultare ai limiti del capolavoro. Il soggetto è tratto dall’omonimo best seller dello scrittore norvegese Jo Nesbø, la cui interminabile serie di romanzi incentrati sul personaggio di Hole (ben undici, per ora) gli ha garantito una discreta fama nel panorama letterario contemporaneo; mentre ad adattare la storia per il grande schermo ci sono due sceneggiatori dal curriculum eccellente: l’iraniano Hossein Amini (autore di Drive di Nicolas Winding Refn, tanto per citare un titolo) e il britannico Peter Straughan (che ha già scritto un ruolo per Fassbender in Frank e ha firmato il copione di La Talpa). È poi proprio il regista dell’eccellente spy movie con Gary Oldman (e al suo fianco mezza Hollywood) Tomas Alfredson a guidare L’Uomo di Neve da dietro la macchina da presa: difficile nutrire dubbi sulla riuscita del progetto, considerata l’ottima capacità dimostrata nel raccontare storie complesse in La Talpa (il cui titolo originale è il ben più particolare Tinker Tailor Soldier Spy) e l’indiscusso talento nello sfruttare le nevi norvegesi per creare tensione nello straordinario horror vampiresco Lasciami Entrare (un film di culto). A rendergli il lavoro facile c’è poi in cast solidissimo che al fianco di Fassbender vede Rebecca Ferguson (tra qualche mese ne sentiremo parlare molto per The Greatest Showman), Charlotte Gainsbourg, Val Kilmer, J.K. Simmons e Chloë Sevigny, e il produttore esecutivo è pur sempre Martin Scorsese (che inizialmente doveva anche dirigere). Cosa potrebbe mai andare storto?
La risposta, purtroppo, è che nonostante i grandissimi talenti in gioco, non funziona più o meno niente. È evidente lo sforzo collettivo di creare un’opera affascinante e perturbante, ma la prima cosa a non funzionare è proprio il mix che dovrebbe sorreggere l’insieme.
Ci sono molti modi di raccontare i serial killer, ma è inutile negarlo: David Fincher ha fatto scuola a riguardo. Non c’è quindi da stupirsi se l’ombra di David Fincher si staglia lunga su tutta la pellicola, e se la magnifica fotografia del bravissimo Dion Beebe (Collateral, Chicago, Edge of Tomorrow, Equilibrium) cita a più riprese il lavoro del cineasta statunitense. Il fascino di addentrarsi nei labirinti mentali di un omicida seriale viene però sensibilmente disinnescato dall’idea fondante del romanzo, che su carta può esser proponibile ma sul grande schermo funziona decisamente meno: la fissazione del killer per i pupazzi di neve. La presenza costante di questi omini ghiacciati con l’aria triste pazientemente composti dall’assassino, e addirittura stampati nella neve sul tettuccio di una macchina con uno sforzo degno di Art Attack (senza destare ovviamente le attenzioni della polizia), trascina impietosamente l’ambizione della pellicola verso atmosfere da horror di serie b, e un paio di momenti gore dal sapore indegno non fanno che peggiorare il tutto.
Non bastano grandi nomi a fare un casting che funzioni e, anzi, a volte è proprio questo il problema.
La scelta degli attori, sulla carta, sembrerebbe inoppugnabile. È vero, il pur bravo Fassbender non è credibilissimo come poliziotto alcolizzato e tormentato, ma non è certo lui il problema. A rovinare la pellicola, rendendone prevedibili gli esiti sin dalle primissime battute, è infatti la scelta di assegnare a una star di primo piano (non vi diremo chi) un ruolo che risulta essere assente per la maggior parte della pellicola. Questa scelta narrativamente ingiustificabile rende esplicito il fatto che quel personaggio, in un modo o nell’altro, alla fine dei giochi avrà un certo peso nell’economia del racconto, e – guarda caso – sarà proprio così. In tal modo un side-character si trasforma in una grande freccia intermittente al neon che indica sin dall’inizio allo spettatore più smaliziato su chi far ricadere i propri sospetti. Non proprio l’ideale quando si vuole costruire la tensione facendo sospettare di tutti.
Il vero, insormontabile, problema della pellicola è però il ritmo. O meglio, la sua totale assenza.
Non sappiamo se il problema dipenda dal fatto che nella editing room ci siano stavolta due poltrone, ma il premio Oscar Thelma Schoonmaker (collaboratrice di lunga data di Scorsese) e la sua collega Claire Simpson (montatrice anche per Platoon e Wall Street) non solo non riescono a dare il proprio meglio, ma conferiscono alla pellicola un passo lentissimo che – complice lo svolgimento tutt’altro che appassionante del plot – risulta a dir poco soporifero. Non proprio quel che ci si aspetterebbe da un thriller del genere.
Se poi a questo incedere tedioso aggiungiamo che un paio di scelte completamente prive di senso del protagonista arrivano a strappare una risata in momenti nei quali la tensione drammatica dovrebbe essere al suo acme, è presto detto perché L’Uomo di Neve non possa dirsi neanche lontanamente un film riuscito.
I nomi coinvolti nella pellicola sono tutti così prestigiosi che di certo non sarà un lavoro infelice come questo a minarne la carriera, ma se vi aspettate una pellicola capace di soddisfare le altissime aspettative, fareste meglio ad entrare in sala con molta cautela. L’Uomo di Neve è nei cinema italiani dal 12 ottobre su distribuzione Universal. Qui sotto trovate uno speciale sull’universo narrativo creato da Jo Nesbø