Fare oggi, nel 2017, in Italia, un film sull’immigrazione, significa prendersi dei grandissimi rischi. In primo luogo perché è un tema ormai capillarmente diffuso nella quotidianità delle persone; è presente in televisione, nei giornali, nei libri, nei dibattiti e, appunto, anche al cinema. Fuocoammare di Rosi ci aveva fatto sognare l’Oscar nel 2016, quest’anno alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia uno dei lavori più attesi era proprio un lavoro sui flussi migratori, il monumentale (e confuso) Human Flow di Ai Wei Wei.
Insomma, si tratta di un argomento che si può affrontare sotto decine di punti di vista: quello della frontiera, come fatto dall’artista dissidente cinese; quello del porto, come fatto a Lampedusa da Rosi; quello della città, come visto negli ultimi due lavori di Aki Kaurismaki, o quello dei cittadini di seconda generazione, come nel caso di Alì ha gli occhi azzurri di Giovannesi.
Tuttavia, non è un caso che uno dei migliori film sul tema degli ultimi anni sia proprio l’ultimo citato. My name is Adil assomiglia tantissimo alla pellicola del regista romano, poiché affronta l’immigrazione partendo da una storia vera, raccontando le vicissitudini e la vita di chi ha vissuto quell’esodo. Probabilmente non c’è modo migliore, almeno oggi, di affrontare questa tematica: le storie di questi individui che troppo spesso sono considerati come numeri nascondono un mondo, sono tutte affini eppure tutte diverse fra di loro. Sono storie che hanno bisogno di essere ascoltate e raccontate, di essere divulgate attraverso il cinema proprio perché non si cada nella tentazione di trasformare delle vite umane in cifre di qualche statistica.
Adil è un giovane intelligente, appassionato ed interessato studente; ha appena finito le elementari e non può permettersi di studiare ulteriormente, poiché abita in campagna e la “città” è troppo lontana. Inoltre deve badare, insieme ai suoi fratelli, alla madre e al suo severo zio, al gregge che è la loro principale forma di sostentamento. Il desiderio del protagonista di My name is Adil è di continuare a studiare per potere fare una vita diversa e poter quindi guadagnare aiutare ulteriormente la sua famiglia. Per fare ciò vuole raggiungere il padre, il quale vive e lavora in Italia.
Il film di Adil Azzab ha i tratti di un lavoro amatoriale, specialmente nel missaggio del suono e nel montaggio, eppure è quello che dovrebbe essere un’opera sull’immigrazione. My Name is Adil è nato grazie al crowdfunding, sostenuto da associazioni come Emergency e personalità come Gabriele Salvatores. È nato, appunto, dalla necessità di trasporre in celluloide una storia vera di riscatto, sacrificio, impegno; affronta il difficile tema dell’identità culturale (le difficoltà che il protagonista affronterà una volta arrivato a Milano), il problema dell’integrazione, della distanza dai propri cari e dalla propria famiglia.
In una società nella quale gli intellettuali sono costantemente impegnati a dibattere, discutere e raccontare l’immigrazione attraverso numeri e ideologie politiche, sono proprio i lavori come My name is Adil ad essere importanti. Piccole storie vere, raccontate con grande onestà, anche a costo di rinunciare ad una perfetta resa cinematografica.
My name is Adil sarà in sala dal 24 al 26 ottobre in ben 65 sale, su distribuzione Unisona Live Cinema.