E cento. Si apre – finalmente – l’ottavo ciclo di The Walking Dead, una stagione su cui si riversano un sacco di aspettative perché, oltre ai fedelissimi dei vaganti, l’arrivo di Negan nella scorsa stagione (e nel tragico finale della sesta) ha riacceso l’interesse di qualche spettatore che si era perso per strada.
La puntata si chiama Mercy tradotta in italiano con Possa la mia misericordia prevalere sulla mia ira, una citazione dal Corano, una battuta presente nell’episodio. Non è l’unico modo in cui la religione entra in puntata: un soldato di Rick prega per la prima volta in vita sua, padre Gabriel cede a Dio i meriti per il proprio comportamento generoso e lo stesso Rick promette alla sua gente che erediteranno la Terra, che avranno un domani radioso, a patto che prima sconfiggano i Salvatori.
L’ultima volta che avevamo visto Rick aveva negli occhi una rabbia e una determinazione tali da far incrinare persino lo sguardo di Negan. È passato del tempo e quell’odio non si è affievolito. Piuttosto, Rick ha fatto appello alla freddezza di cui può essere capace per organizzare, affiliare, sobillare il suo popolo.
Come spesso accade in altre puntate importanti della serie, il montaggio si prende gioco dello spettatore, l’episodio si apre con alcuni strappi spazio-temporali, confondendo sogni, flashback e flashforward. Ma si tratta di istanti appena accennati, alcuni quasi si dimenticano nel diramarsi delle scene sugli altri personaggi, tutti intenti a svolgere il proprio compito con rodata sintonia, seguendo una strategia precisa, senza troppe chiacchiere.
Poi, però, le parole arrivano, e arrivano per bocca di Rick, che ancora una volta si fa trascinatore di folle in un discorso che cita – senza nascondersi – le parole che Shakespeare fa dire a Enrico V alla vigilia della battaglia di Azincourt (spoiler: vinse Enrico V).
Il lessico di Rick e il piglio da leader ci ricordano ancora una volta che lui quel potere se l’è guadagnato sul campo, dalla morte di Shane in poi. E da leader ha cresciuto suo figlio.
In un mondo in cui, improvvisamente, non c’era più posto per i bambini (ricordiamo tutti la fine che ha fatto Sophia, la figlia di Carol) Rick aveva capito che l’unico modo in cui Carl poteva sopravvivere era negargli l’infanzia. In prima stagione Carl ottiene il permesso di assaggiare del vino; in seconda stagione gli viene accordato l’uso di un’arma; in terza è lui a evitare che sua madre si trasformi in vagante. Se Rick è il sovrano, Carl ne è il degno erede.
Da quella (bellissima e atroce) puntata in cui Negan lo ha costretto a cantare per lui (You are my sunshine) gli autori lo hanno fatto crescere ancora un po’, e gli hanno regalato una scena che ha tanto (davvero tanto) in comune con il pilot della serie stessa, quella in cui Rick alla ricerca di carburante si trova di fronte alla bimba non morta, il primo vagante della serie.
In questa centesima puntata, di fatto, non succede poi tanto. Altro non è che la messa in scena dell’organizzazione della vendetta di Rick – e del suo popolo – nei confronti di Negan e dei Salvatori. Sostanzialmente Rick è uno che impara dal proprio vissuto. E allora non si fida più di nessuno (Carl ancora si fida, invece) e fa tesoro delle imboscate subite fino a qui per riproporle ai nuovi nemici di turno. Tutto ciò che ha subito può diventare un’arma a proprio vantaggio.
Non sappiamo, ovviamente, come evolverà (e con che tempi) questa nuova guerra, quello che sappiamo è che se Rick mantiene freddezza e lucidità possiamo farcela. I quarantacinque minuti appena andati non sono sufficienti per capire se sia emotivamente in grado di vendicare Glenn, Abraham, Sasha e tutti gli altri che Negan si è portato via.
Siamo appena arrivati a cento puntate di The Walking Dead, come nelle precedenti stagioni ne sono previste in tutto sedici, il che significa che, alla fine, toccheremo le centoquindici puntate. Più di quante ne abbia fatte Lost.
Kirkman e soci sono bravi, senza dubbio; ci siamo affezionati al mondo e ai personaggi che hanno creato quindi riesce difficile dirlo, ma speriamo che gli autori abbiano il coraggio di staccare la spina quando ancora possiamo avere bei ricordi, perché l’ultima cosa che vogliamo è scivolare in Grey’s Anatomy. Speriamo, ma lo stesso Carl, in questa puntata, ci ammonisce: la speranza non basta, non più.