The Party celebra il funerale di un certo idealismo di facciata, ed è proprio questa sua natura ad essere il valore aggiunto della pellicola, che si sviluppa tra fragorose risate tutte dal retrogusto amaro. Una disamina cruda (e raffinatissima) della realtà culturale e politica della classe media inglese (o almeno di un suo spaccato), che si potrebbe estendere senza margine di errore un po’ a tutto l’ Occidente.
Officiante tutt’altro che compiaciuta, ancorché spietata, Sally Potter (Orlando). Ma non aspettatevi un film “trasgressivo”, uno di quelli “politicamente scorretti” che indagano nelle parti più profonde e oscure della natura umana, di quelli che lo spettatore fatica a digerire e per questo cerca di dimenticare già durante i titoli di coda per fare pace con il mondo. No, in questo caso l’accettazione di quanto si vede e si ascolta sul grande schermo è totale, tanto da risultare per certi versi addirittura banale – giudizio che prevarrà probabilmente tra i più giovani, cresciuti con le disillusioni, con il crollo delle impalcature ideologiche e per i quali l’ipocrisia della doppia morale, per dirne una, è una dinamica ormai smascherata.
UN APPROCCIO TEATRALE, HIC ET NUNC
Presentato alla Berlinale e proiettato alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, l’ultimo film della Potter, con i suoi 70 minuti, porta un tocco di tipico humor britannico e soprattutto una riflessione sulle ultime “vittime” di un’epoca che in pochi anni si è dissolta. Lo fa senza presunzione, senza la pretesa di approfondire il mondo che si cela dietro i personaggi, senza tediare lo spettatore con analisi psicologiche o sociologiche. Ma al tempo stesso costruendo un impianto tanto complesso per tutti i significati espliciti ed impliciti, quanto semplice nel suo svolgimento. Uno svolgimento “qui e ora”, come fosse puro teatro. Da cui in effetti attinge a piene mani i ritmi, i tempi e gli spazi. La recitazione, l’uso pressoché costante della camera a mano e il bianco e nero contribuiscono ad armonizzare magistralmente l’odore della polvere del palcoscenico con quello del set cinematografico.
UN CAST DI ALTISSIMO LIVELLO
The Party ci porta a casa di Janet (Kristin Scott Thomas) una donna liberal, sposata con Bill (Timothy Spall) che invita a cena tre coppie di amici per essere stata designata dal suo partito (di opposizione) come ministro ombra della sanità e far festa insieme a loro. Gli invitati sono April e Gottfried (Patricia Clarkson e Bruno Ganz), Martha e Jinny (Cherry Jones e Emily Mortimer) una coppia lesbica che ha deciso di avere figli con la fecondazione artificiale di Jinny la quale porta in grembo tre gemelli, infine Tom (Cillian Murphy) e Marianne che è in ritardo per motivi di lavoro e alla fine non ce la farà ad entrare in scena poiché nel frattempo le cose saranno precipitate.
Il film è stato scritto e sceneggiato dalla stessa Sally Potter, che dimostra una grande capacità verbale, giocando con i suoi personaggi e con le parole spingendosi ai confini dell’autocompiacimento. È merito dei suoi attori, tutti indistintamente artefici di grandi interpretazioni, se il confine viene superato soltanto in un paio di occasioni con manovre lessicali un po’ spericolate, ma subito tamponate dalla relativa brevità della pellicola che evita così proprio in in extremis di essere stucchevolmente ridondante.
The Party vive sulla bravura degli attori, sulla volatilità delle parole e sulla potenza delle immagini. Quella che apre il film fa subito capire che, pur essendo una commedia, con il trascorrere dei minuti interagiranno altri generi, tra i quali, a ben guardare, farà capolino perfino il cinema sociale, una volta tanto declinato attraverso la classe medio-alta e non quella operaia. E forse anche questa scelta ancora una volta la dice lunga sulle intenzioni della regista.