Marco Sani e Fausto Rio hanno scritto con Francesco Abbasta e Valerio Cillo la sceneggiatura di Addio Fottuti Musi Verdi su soggetto degli stessi Abbasta e Cillo con Alfredo Felco e Simone Ruzzo. Il film, in uscita nelle sale, è stato presentato tra gli Eventi Speciali dell’ultima Festa del Cinema di Roma
Cari Marco e Fausto, come nostra abitudine, per rompere il ghiaccio, vi chiediamo di fare un breve pitch del vostro progetto.
Fin dove sei disposto a spingerti per trovare lavoro? Nel primo film dei The Jackal, un trentenne invia il suo curriculm nello spazio e viene assunto dagli alieni.
Come è nata l’idea di questo progetto? Come siete stati coinvolti?
Marco Sani: Nella primavera del 2014, Francesco Ebbasta, ci ha raccontato l’idea e abbiamo iniziato a svilupparla. Lavoravo con la The Jackal da qualche mese, per lo più come autore di spot pubblicitari. Parallelamente, però, stavamo sviluppando soggetti per storie più lunghe e Addio Fottuti Musi Verdi ha finito per monopolizzare i nostri pensieri.
Fausto Rio: Lo spunto iniziale (“un ragazzo invia il curriculum nello spazio e viene assunto dagli alieni”) credo sia partito da Simone Ruzzo scherzando insieme agli altri su quanto sarebbe stato assurdo. Francesco Ebbasta voleva sviluppare questa storia e, avendo già collaborato con me e Marco, ce ne ha parlato con l’idea di farne un film. Con l’arrivo di Cattleya quell’idea si è concretizzata.
La vostra collaborazione con i The Jackal non è nuova, anzi ormai è ben consolidata. Sapendo già quali fossero gli attori ad interpretare i personaggi, quali difficoltà e quali elementi positivi avete riscontrato?
Rio: Quando abbiamo iniziato a scrivere il film sapevamo solo che il personaggio principale sarebbe stato interpretato da Ciro, poi si è pensato anche a Fabio Balsamo che ci aveva già dato prova del suo talento attoriale. La difficoltà è stata quella di definire che tipo di film i the JackaL, e in particolare il regista, volessero realizzare e con quale tipo di comicità. Sapere che determinate gag sarebbero state interpretate da Ciro e Fabio ci ha aiutati a settare anche il tono del film, giocando con la loro mimica e il loro talento comico, puntando anche sulla loro consolidata complicità.
Sani: Sapere per chi stai scrivendo una storia, una scena, dei dialoghi può essere un’occasione o un limite, dipende da che punto di vista la si guardi. Personalmente, trovo che in questo caso lavorare a stretto contatto con Ciro e Fabio sia stato decisivo. Siamo riusciti a creare tutti insieme uno script che loro due, e tutti gli altri membri del cast, sentissero davvero proprio. Credo che la loro chimica in scena funzioni moltissimo.
Come vi siete divisi il lavoro di scrittura con gli altri sceneggiatori? Che metodo avete usato?
Sani: Nella prima parte del lavoro, ci siamo incontrati a Napoli e abbiamo scritto insieme per settimane. Abbiamo poi alternato riunioni Skype ad altri momenti insieme, rimanendo tutti costantemente aggiornati sull’evoluzione della storia. Nella seconda parte del lavoro, invece, con l’entrata in scena di tutti gli altri reparti della pre-produzione, ci siamo incontrati sempre meno e abbiamo lavorato molto di più da distanza. I lavori collettivi sono sempre molto interessanti, ma credo che sincronizzare le menti di quattro, cinque persone sia una delle cose più difficili (e forse, più affascinanti) di questo mestiere.
Rio: Dopo lunghe riunioni di brainstorming con il regista per capire insieme che tipo di comicità avesse in mente e quale versione della storia volesse realizzare, abbiamo scritto le prime due stesure della sceneggiatura condividendo un appartamento a Napoli. Ci confrontavamo con Francesco sul materiale da noi prodotto ma, essendo il suo primo film dei the JackaL, credo che per dirigerlo avesse bisogno di sentire più sua la storia; era chiaro quindi che fosse necessaria la sua partecipazione alla scrittura e infatti ha poi scritto attivamente la sceneggiatura firmandola insieme a noi.
Avete riscontrato qualche differenza tra il copione e la messa in scena?
Sani: Niente di eccessivo. E in ogni caso, sono a favore di tutte quelle modifiche che all’attore servono per poter recitare al meglio una scena. È importante che non venga stravolto il senso della storia, ma tutto il resto, improvvisazione compresa, sono elementi che vanno considerati. Insomma, una sceneggiatura non è un romanzo. La sceneggiatura è uno strumento di lavoro e come tale vive un’evoluzione propria. Dall’idea iniziale, all’ultimo secondo di montaggio, lo script è destinato a cambiare.
Rio: I The JackaL sono abituati a lavorare con i ritmi velocissimi delle produzioni web, con un’idea che nasce e magari viene girata il giorno stesso, per poi eventualmente aggiustare il tiro in montaggio, in doppiaggio o con qualche recupero. Per realizzare con i the JackaL una serie come Lost in Google o anche corti come “Promettimi che Non Lavorerai Mai”, scrivevo la sceneggiatura ed ero anche sempre presente sul set per lavorare alla storia in tempo reale, così come in fase di montaggio. Questo può essere utile per risolvere al volo problemi che possono sorgere su una produzione low budget, oppure per inserire intuizioni del momento che rendono più fresca la storia. Chiaramente realizzare un film con una grande realtà come Cattleya utilizzando un metodo simile non è ipotizzabile, visti soprattutto i tempi di produzione differenti del cinema e le risorse impiegate.
Diciamo che entrambi avete dimostrato una certa passione e attenzione per il genere Sci-Fi, con tutte le varie sfumature che comporta. Portando a casa un sacco di attenzioni e premi, con serie come Lost in Google e Hydra – The Series. Cosa secondo voi è veramente fondamentale in una storia di fantascienza?
Sani: Amo la fantascienza, ma non credo esista un qualche ingrediente imprescindibile. Credo che sia un genere che più di altri ti permette di mescolare elementi che aiutano lo spettatore a cogliere letture diverse di una stessa situazione. Si tratta di un genere talmente vasto, capace di accogliere così tante sfumature diverse, che probabilmente l’unico limite è la propria immaginazione. E il budget.
Rio: La realtà.
Venite considerati autori giovani e come tali ci si aspetta una scrittura frizzante, dissacrante, nuova. Vi riconoscete in questi stereotipi, pensate che la scrittura di un film abbia un’età, possa essere riconoscibile per l’anagrafe degli autori? O queste definizioni vi stanno strette?
Rio: È un tipo di scrittura che ricerco sia come autore che come spettatore, ma non credo che essere giovani sia una condizione necessaria per la scrittura di qualcosa che risulti nuovo o dissacrante, anzi, talvolta una certa maturità ed esperienza permette di affinare la propria creatività imparando a maneggiarla a proprio piacimento. Il problema sorge quando il controllo esercitato sulla propria creatività diventa eccessivo, non lasciando spazio all’intuizione pura, al rischio e all’ignoto, dal quale spesso scaturiscono le idee migliori. In pratica si può avere una scrittura giovane da vecchi e una scrittura vecchia da giovani: non dipende dall’età ma da come ci si approccia alla scrittura.
Sani: Sono stereotipi. Non esiste un’età giusta per uno scrittore o per un genere narrativo in particolare. E di sicuro non è possibile guardare un film e capire se sia stato scritto da un ragazzo di trent’anni o da una donna di sessanta. In questo lavoro, l’esperienza non è altro che la somma delle cazzate che hai scritto fino a un momento prima, convinto che ne scriverai altre, consapevole che saranno sempre meno. Credo che sia fondamentale scrivere moltissimo per affinare una certa consapevolezza delle proprie capacità e una sempre maggiore bravura nell’utilizzare le tecniche narrative. Non è una questione di età: ho letto script di cinquantenni che sembravano partoriti da un ragazzino di quinta liceo e sceneggiature fin troppo mature per un autore di vent’anni. Credo che il confronto sia tutto, indipendentemente dall’età. Ed è importante che il frizzante e il dissacrante di cui parli diventino prerogative anche di chi decide quali progetti andranno in sviluppo, di chi li finanzia, di chi sceglie di crederci.
Il film ha sollevato alcune critiche per quanto riguarda la storia, alcuni pensano come era successo in precedenza con il caso The Pills che il passaggio dal web al grande schermo nasconda delle insidie, cioè che gli sketch non riescano ad essere omogenei ad una storia che li contenga, come la pensate su questo?
Rio: Forse l’errore di base è quello di pensare che la rivoluzione del cinema italiano debba partire da chi ha compiuto una rivoluzione su un altro mezzo magari dopo anni di gavetta. Un’opera prima al cinema è di fatto un nuovo inizio; è un passo in avanti, ma in un campo nuovo finora inesplorato. Il primo problema da affrontare per chi viene dal web e lì ha costruito una propria identità è capire cosa si vuole essere in quel nuovo contesto. Entrarvi provando a portare con sé una parte di ciò che si è stati finora con successo ma su un altro mezzo, per quanto comprensibile, crea un problema nel modo in cui ci si approccia al progetto perché un film al cinema non può che partire da una buona storia. Ci si gioca tutto in quelle due ore sul grande schermo e ogni scena.
Tutti credono che i talenti del web, abituati a realizzare video molto veloci e brevi, abbiano difficoltà a gestire i tempi lunghi di un film al cinema; io credo invece che si faccia fatica a gestire i tempi troppo brevi di un film. Perché per quanto brevi siano i video sul web, è sul lungo periodo che si costruisce il successo di una webstar, dato dalla somma di tutti i suoi video virali, messaggi, post e commenti pubblicati negli anni in rete. Motivo per il quale la narrazione sul web è forse più vicina alla serialità tv, dove è l’arco narrativo del personaggio ad avere un peso maggiore rispetto alla premessa della storia. (Non a caso molte webstar riescono meglio cimentandosi in progetti seriali e meno al cinema.) In questo senso i The Jackal, forse percependo il rischio a cui sarebbero andati incontro, hanno coinvolto noi sceneggiatori per aiutarli a strutturare il film. E infatti, vista anche la premessa forte di AFMV, come sceneggiatore, soprattutto in fase iniziale di scrittura, mi sono battuto molto per mantenere al centro del progetto la storia, ma era impossibile prescindere dal fatto che questo fosse il primo film dei The JackaL, un gruppo con un seguito enorme, con tanti fan che già li conoscono e amano ciò che sono sul web. Ma se in rete puoi fare/essere contemporaneamente un personaggio di Lost in Google, di Gay Ingenui, di Vrenzole o una parodia di Gomorra, avendo una community che ti conosce, ama e segue a prescindere, al cinema hai solo due ore e sei costretto a scegliere cosa fare ed essere in quel contesto. Il mio parere da sceneggiatore è che debba essere la storia a suggerire le scelte migliori per i personaggi, il tono comico da utilizzare e quali scene inserire o meno, ma i The JackaL hanno un peso così forte da giustificare la scelta, a torto a o ragione, di mettere al centro del progetto la loro forza. In definitiva dipende molto da cosa ci si aspetta. AFMV ha portato al cinema italiano alcune importanti novità (vedi la fantascienza a Napoli, uno dei motivi per cui vale la pena vederlo al cinema!) ma forse è sbagliato aspettarsi un film rivoluzionario, sarebbe un’ambizione troppo pretenziosa per l’opera prima di un gruppo di creativi nato e cresciuto sul web, che oggi ha un forte seguito e che arriva al cinema realizzando un film comico “demenziale” che vuole far ridere un certo tipo di pubblico e che sono certo piacerà molto (non solo ma soprattutto) ai fan the Jackal.
Sani: Ho letto moltissime recensioni dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma e mi sono convinto di una cosa: in Italia si è troppo mal disposti nei confronti di chi arriva dal web. Premessa fondamentale: i The Jackal non sono YouTuber in senso stretto, non lo sono mai stati e non amano esser definiti tali. La The Jackal nasce come casa di produzione e YouTube è stato il media perfetto -non solo per loro- perché gratuito e potenzialmente in grado di raggiungere chiunque nel mondo. Detto questo, il grande schermo nasconde delle insidie per chiunque lo affronti, che venga dalla TV, dal web, dal teatro. Nessuno escluso. Con AFMV la sfida più grande è stata quella di inserire l’immaginario della The Jackal in una storia più ampia, che si reggesse in piedi da sola e che potesse far divertire anche i nuovi fan.
Ci sono molte differenze tra un prodotto per il web e uno per la sala, a partire soprattutto dalla ideazione e dallo sviluppo della sceneggiatura. A livello pratico di scrittura, Quali sono per voi i punti di maggior distacco e quelli in cui i due dispositivi invece s’incontrano?
Rio: Un video virale sul web e un film al cinema (se fatti bene) hanno in comune una storia da raccontare, un punto di vista originale e un’emozione da suscitare. La differenza sostanziale (oltre a quelle già elencate) è il contesto, non tanto in termini di linguaggio quanto di formato e ritmo. Sul web hai pochi secondi per catturare l’attenzione di uno spettatore magari già impegnato a fare altro e che becca il tuo video su un dispositivo che lo stimola (distrae) in continuazione. Al cinema lo spettatore ha scelto di dedicare due ore del proprio tempo alla tua storia, uscendo di casa e pagando un biglietto per stare seduto in una sala con altre persone concentrate sul tuo film. A parità di contenuto, quindi, cambia la struttura e il ritmo narrativo. Sul web devi conquistare lo spettatore e ti giochi tutto all’inizio. Al cinema non devi deluderlo e ti giochi tutto alla fine.
Sani: Un videoclip per il web, un commercial, un viral… e anche un film, sono tutte facce della stessa medaglia. L’urgenza che si ha in ognuno di questi casi -o che è comunque bene ricercare- è quasi sempre la stessa: raccontare una storia. L’approccio sarà diverso in base al tipo di prodotto, ma tutto deve partire dalla volontà di narrare qualcosa. Sul web e in TV, servono ritmi diversi: il pubblico ha in mano mouse e telecomando e in un attimo puoi diventare solo un ricordo. Bisogna essere rapidi, interessanti dal primo istante, concreti. Al cinema, lo spettatore ti dà una fiducia che devi saper ripagare, prendendoti anche i tuoi tempi se necessario, ma cercando di intrattenere al meglio chi decide di passare con te 90 e più minuti. L’arco narrativo di un personaggio rimane più o meno lo stesso, sono i minuti in scena -e per questo, le pagine a disposizione- che cambiano.
Già dal trailer, dai teaser e da tutti i materiali della promozione si possono vedere alcune cose, le cose che hanno il sapore del cinema di genere e le cose che vengono direttamente dal mondo e dalla cultura web e della serialità web. Come avete lavorato su tutte le citazioni The Jackal che sono presenti nel film, sto pensando alla friggitoria Deux Frittures dove lavora Ciro?
Rio: Inizialmente volevamo evitarle a tutti i costi, pensavamo potessero depotenziare l’universo narrativo del film. Ma in realtà le citazioni inserite sono degli inside joke per i fan che non disturbano lo spettatore del film, o almeno si spera.
Sani: Sarò sincero, non essendo mai stato quotidianamente parte integrante della The Jackal, non conoscevo quanta presa i ragazzi avessero sul loro pubblico. Per questo, inizialmente ho cercato di convincere Francesco che AFMV potesse essere un’occasione unica per creare un nuovo universo di riferimento che avrebbe abbracciato da un lato i fan più accaniti e dall’altro i nuovi arrivati, per così dire, il nuovo pubblico. Tuttavia, dopo aver vissuto a Napoli e aver vissuto Napoli, ho capito che in città la The Jackal è una vera e propria istituzione. La sera, quando andavamo a discutere di quanto scritto durante la giornata, era fondamentale trovare un luogo il più riparato possibile, altrimenti Ciro e gli altri sarebbero stati presi in ostaggio dai fan per foto o strette di mano. Incredibile. Sono stati quei momenti a farmi capire che una strizzata d’occhio alla fan base dei ragazzi fosse importante. Tuttavia, credo che le citazioni inserite nel film rimangano tali. Nessuna è troppo invasiva, nessuna definisce una scelta di un personaggio o fa andare la storia in una precisa direzione.
Pochi giorni fa è apparso nel web un file piratato del film, la risposta dei the jackal è stata molto precisa, “questa cosa ci fa male”, cosa pensate della pirateria e quali sono state le vostre reazioni alla scoperta di questo file nel web?
Sani: Spoiler: è tutto finto. Il loro annuncio, il film piratato, è tutta una presa in giro. Mi spiego: AFMV -quello vero- verrà di certo reso disponibile per chiunque lo voglia vedere in streaming. E anche molto rapidamente. Succederà, succede a tutti e noi non faremo differenza. Mi dispiace per chi lo vedrà così, perché il film merita la visione in sala, anche soltanto per il lavoro che è stato fatto in post-produzione e con l’audio (musiche comprese). Tornando alla domanda, abbiamo pensato di poter fare qualcosa in merito: nel film caricato online, infatti, trovate Ciro che elenca tutte le persone che hanno partecipato alla lavorazione. Tutte. Le elenca TUTTE per 90 minuti. Ora, nessuno di noi ha la pretesa di sconfiggere un fenomeno -per me- inarrestabile, ma se anche soltanto un centinaio di persone si renderanno conto di quanta gente serva per mettere in piedi un film… be’, ci sarà da festeggiare.
Rio: Il file è un fake caricato in rete proprio dai The Jackal per trollare chi prova a guardarlo piratato; un’ora e mezza in cui Ciro e Fabio leggono tutti i credits del film, così da rendere chiaro quanto duro lavoro c’è dietro ed è giusto che venga riconosciuto e supportato permettendo di monetizzare quell’investimento di risorse, tempo ed energie. Da autore penso che la pirateria sia un’appropriazione indebita. Detto questo, alcune piattaforme di streaming illegale fanno talvolta un lavoro di promozione e distribuzione migliore di chi ne detiene i diritti e in alcuni casi un contenuto risulta del tutto irreperibile se non piratato. Sono certo che sistemando piattaforme, tempi e prezzi di distribuzione, gran parte del pubblico preferirà pagare per vedere i contenuti che ama nel migliore dei modi, come dimostra il successo di realtà come Netflix.
La Festa del cinema di Roma negli ultimi anni sta diventando sempre più importante nel panorama italiano e non solo, cosa vi aspettate di più dalla partecipazione a un festival?
Sani: È una vetrina meravigliosa. Un onore esserci, un onore percorrere il red carpet e partecipare alla prima in sala. Il pubblico si è divertito, i ragazzi hanno ricevuto la giusta considerazione e per tutti noi è stato un momento importante e gratificante. Spero di poter tornare al festival con un altro film, in futuro. Magari già il prossimo anno, con Ride. Come? Non conoscete Ride?
Rio: Più intimità tra il pubblico e chi i film li realizza. E un Blu Carpet! Quel rosso non lo posso proprio vedere. Nel senso che sono daltonico. (Non è vero, sono solo molto stupido.)
(intervista è a cura di Giulio Rossi)