Il DCEU è salvo. Dopo la deludente accoglienza riservata dalla critica e dal pubblico al pur non terribile Batman V Superman, l’universo cinematografico della Detective Comics è entrato in una spirale di problemi e incertezze che hanno travolto tutte le pellicole in lavorazione, con un viavai di registi, sceneggiatori e addirittura montatori che ha gettato nel caos gli Studios, che invece speravano di bissare senza grandi imprevisti il modello produttivo del MCU.
La difficoltà a stabilire un tono diverso da quello pop della Marvel ma non troppo tetro, la complessità dell’armonizzazione di un mondo narrativo fin troppo eterogeneo e una catena di comando mal delineata sono le principali cause di una partenza così farraginosa. Ora però, nonostante gli irti ostacoli che hanno segnato la realizzazione di Justice League, la Warner pare aver trovato la giusta direzione.
IL FIM CHE SEGNA LA FINE DELL’ERA DI ZACK SNYDER
Zack Snyder era approdato a L’Uomo d’Acciaio in virtù del suo stile registico estremamente personale, fatto di epica e ralenti (basti guardare l’iconico 300, il sottovalutato Watchmen e il dimenticabile Sucker Punch). Da allora la sua impronta si era estesa a tutto il DCEU, facendone un deus ex machina dell’universo narrativo (omologo del ruolo di Whedon per la Marvel).
È vero che dopo Batman V Superman Snyder era stato riconfermato alla regia di Justice League, ma con l’aumentare delle incertezze e delle divergenze creative nei progetti paralleli (Aquaman e Flash su tutti, direttamente collegati al team-up DC) e lo straordinario successo del diversissimo Wonder Woman di Patty Jenkins, la sua guida era sempre più commissariata dalla Warner.
L’ARRIVO DI JOSS WHEDON: GLI AVENGERS DC
È stato però il drammatico suicidio della figlia a costringere Snyder ad abbandonare la produzione del suo ultimo cinecomic, segnando l’ingresso a sorpresa proprio di quel Joss Whedon che a partire dal suo Avengers ha dato forma al MCU. L’ingaggio di Joss Whedon da parte della Warner in realtà sembra fosse in cantiere da tempo, tanto che il ruolo cui il padre di Buffy – L’ammazzavampiri è stato chiamato non è stato di semplice ‘reggente’ di Snyder per la chiusura della pellicola. Whedon infatti è stato incaricato di riscrivere profondamente lo script, alleggerendolo, portando maggiore equilibrio tra i personaggi e valorizzando l’eroina di Gal Gadot alla luce del successo del suo film stand-alone.
Soprattutto, Whedon ha rigirato una quantità imbarazzante di scene, stravolgendo un film ormai finito e cancellando con un colpo di spugna la visione grave e seriosa di Snyder. Basti pensare che se normalmente, per un progetto di questo tipo, per le riprese aggiuntive si stanziano tra i 7 e i 10 milioni di dollari, per quelle di Justice League ne sono stati spesi più di 25. Il film di Snyder non andava bene, e la Warner non poteva permettersi un altro insuccesso di critica e pubblico. Soprattutto dopo la magnifica accoglienza ricevuta da Wonder Woman.
A OGNUNO IL SUO EROE: LA VARIETÀ (E IL MARKETING) TRAVOLGONO IL DCEU
Se, sorprentemente, sulla locandina del film il nome di Whedon è accreditato in piccolo come co-sceneggiatore e quello di Zack Snyder rimane come unico responsabile della regia, Justice League porta la firma dell’ex regista Marvel in ogni svolta. La trama stessa è a dir poco vicina a quella di Avengers: un gruppo quantomai eterogeneo di supereroi, distanti per poteri e motivazioni, è costretto a collaborare per fronteggiare la minaccia di un villain spaziale potentissimo e senza reali motivazioni, che vuole riunire cinque gemme tre cubi del potere per distruggere la vita sulla terra.
C’è Batman (un Ben Affleck mai così disinteressato a quel che gli succede intorno), meno tetro ma anche senza grandi slanci, c’è Wonder Woman (Gal Gadot), che con quel mix di forza e grazia è diventata un’icona capace di dare coraggio alle bambine di tutto il mondo, ci sono le new entry Flash (Ezra Miller) e Aquaman (Jason Momoa), un comic relief e un ribelle distillato di testosterone, e c’è Cyborg (Ray Fisher), che soffre di una caratterizzazione fumosa e un’interpretazione priva di carisma.
Ovviamente poi – non è un segreto – c’è Superman (Herny Cavill), la cui resurrezione è la trovata più pretestuosa nella storia dei cinecomic, ma alla cui potenza semidivina viene resa giustizia.
Inutile sottolineare quanto poco sia originale il plot, ma prima di scagliarci in spietate critiche cinefile alla pochezza di idee dello script dovremmo farci una semplice domanda: qual è l’essenza e lo scopo di un team up supereroistico?
CON JUSTICE LEAGUE LA WARNER AVEVA BISOGNO DI FARE CENTRO
Inutile girarci intorno: questa volta la Warner aveva bisogno di sbigliettare tenendosi lontanissima dai toni drammatici di Batman V Superman, e quindi era escluso che la minaccia capace di far riunire gli eroi DC potesse contribuire ad alzare la posta emotiva oltre la soglia di guardia. Inoltre la dinamica di sfida interna ai buoni era già stata esaurita proprio con lo scontro tra il cavaliere oscuro e il paladino di Metropolis.
Se consideriamo poi che quando si hanno a disposizione sei comprimari è materialmente impossibile garantire una costruzione tridimensionale a ognuno di essi in un paio d’ore, e che lo scopo principale di un cine-comic di questo tipo è intrattenere il pubblico (mantenendo quindi un ritmo e una durata adeguati), è presto detto che l’unica chiave possibile per affrontare questo capitolo era farne uno spettacolare film d’azione di fronte al quale non porsi troppe domande. Considerate queste premesse, il lavoro combinato di Snyder e Whedon centra l’obiettivo di un cinecomic ‘standard’ e concepito a tavolino: Justice League è infatti un film che scorre a patto di ignorare i buchi di trama e il cui scopo è travolgere con una sarabanda di azione senza limiti ma mai troppo seriosa. Non siamo neanche lontanamente vicini ai momenti migliori di Wonder Woman o Batman Vs Superman, certo, ma questo ibrido tra la DC di prima e quella di poi garantisce un passaggio graduale e non traumatico verso qualcosa di completamente diverso.
UN’AZIONE CHE RISPECCHIA IL CARATTERE DEI PERSONAGGI
Il film è un puzzle discontinuo di suggestioni e idee, un alternarsi a tratti episodico di ottime clip slegate tra loro. Questa sua natura di patchwork supereroistico dal montaggio serrato rivela tutta la travagliata vicenda produttiva anche allo spettatore che ne fosse all’oscuro, e vanifica le molte battute inserite da Whedon nei dialoghi: divertenti, intelligenti, ma il più delle volte fuori contesto e quindi incapaci di strappare più di mezzo sorriso. Detto questo, l’azione mostrata nella maggior parte della pellicola è comunque girata e concepita in modo eccellente e ha un impatto molto più fisico ed efficace rispetto agli stunt spettacolari ma ‘inconsistenti’ cui ci ha abituato la Marvel.
Uno degli elementi in cui meglio si incontrano lo stile di Snyder e di Whedon è proprio la regia dei combattimenti, che ha ora il merito di garantire in qualche modo un linguaggio filmico distintivo a ognuno degli eroi sul campo, e di unire i suggestivi ma a volte pesanti rallentamenti del regista di 300 alla maggior consapevolezza dell’ambiente apportata dall’ex consulente creativo Marvel. Adesso il tempo rallenta solo quando serve alla narrazione, e quegli istanti dilatati servono a ricordarci quanto sia profondamente diversa la percezione del mondo dei protagonisti ‘semidei’ rispetto a quella di noi comuni mortali.
I VFX, I COSTUMI E IL SUONO: COSA VA E COSA NO
Per quanto concerne il comparto tecnico, ci sarebbe moltissimo di cui parlare, dal lavoro mozzafiato svolto dal team di Michael Wilkinson con i costumi a quello decisamente meno soddisfacente fatto dai sound designer Barrie, Connors e Genton, che costruiscono il panorama sonoro delle battaglie sottomarine su quelli che sembrano i filtri di un vecchio Alesis AirFX. Per non parlare poi del mixing innaturale e vococentrico riservato per qualche misterioso motivo solo alla pista del cattivo Steppenwolf.
Come era ovvio che fosse, però, una menzione a parte la meritano gli effetti visivi: la CGI svolge infatti un ruolo fondamentale nel film, ma è discontinua e riesce a distinguersi tanto in positivo quanto in negativo.
Nonostante i progressi quasi fantascientifici fatti negli ultimi anni dalla computer grafica, una delle cose più difficili da rendere su schermo rimane la dinamica dei corpi umani nel vuoto: il movimento a mezz’aria delle articolazioni di spalla, gomito e polso e la loro interazione con i costumi digitali sono ancora difficilissimi da riprodurre in modo credibile, e il risultato ricorda il più delle volte quello che è conosciuto come “effetto Matrix Revolutions”. In questo senso, Justice League riesce per la prima volta a proporre in modo il più delle volte credibile l’animazione dei corpi delle sue controfigure digitali, segnando a suo modo un punto di svolta nel settore.
STEPPENWOLF, UN DISASTRO SU TUTTI I FRONTI
Ogni sforzo positivo viene però vanificato dalla realizzazione del villain: una creatura dal concept sinceramente imbarazzante, costruita completamente in CGI, che ha il corpo di una gigantesca action figure, il viso inespressivo del personaggio che potrebbe al massimo essere uscito dai filmati introduttivi di un videogioco e addirittura un’inconsistenza materica che va in direzione opposta rispetto alla realizzazione del resto dei personaggi.
Come se non bastasse una confezione tecnica da b-movie, per quel più sconcerta di Steppenwolf è la scrittura: stando allo script e facendo finta che non esistano i fumetti, questo temibile villain non si sa bene che poteri abbia, da dove venga, cosa voglia, e come voglia ottenerlo. È semplicemente piazzato lì, senza alcun carisma, con il suo esercito di minion parademoni, con la più bidimensionale assenza di caratterizzazione che riusciate a immaginare, ad assecondare la “madre degli orrori” con l’intento generico di distruggere il pianeta terra e appropriarsene. Un po’ poco anche per un cinecomic che non fa leva sull’antagonista.
E ORA TROVIAMO DI CORSA UN NUOVO BATMAN
In conclusione Justice League è sì un film pieno di problemi che saltano agli occhi, ma, considerato quanto sia stata travagliata la vicenda produttiva e quanto male sarebbero potute andare le cose, si attesta su un livello sorprendentemente meno disastroso del previsto, grazie prevalentemente ai suoi tempi veloci, alla sovraesposizione agli stimoli che propone allo spettatore e lodevolissimo metraggio di appena due ore (primo, vero, grandissimo merito di Whedon). Certo, non aspettatevi una storia sensata.
È un film tutt’altro che indimenticabile o riuscito infatti, eppure, scorrendo, fa uscire dalla sala con la voglia di vedere di più di quasi ognuno dei personaggi. E questo per i WB Studios è probabilmente il successo più grande.
Come sappiamo la nuova strategia della Warner prevede di affiancare alle pellicole del DCEU una serie di spin-off scollegati dalla mitologia principale (operazione già tentata con un pessimo esito nel 2004 con il famigerato Catwoman di Halle Berry). Di certo Snyder avrà un ruolo sempre minore nella stanza dei bottoni, mentre pare che saranno Joss Whedon, Matt Reeves, Patty Jenkins e Geoff Johns a farsi carico della rinascita del marchio DC al cinema. C’è da sperare che questo avvicendamento faccia tesoro di tutti gli ottimi elementi intravisti in Justice League e che, soprattutto, si trovi in tempi rapidissimi un sostituto di Ben Affleck per interpretare il crociato di Gotham: Batman – che amiamo alla follia – rimane un personaggio visivamente e concettualmente straordinario anche alla guida della lega dei super-eroi, ma ogni singolo sguardo dell’attore di Gone Girl sembra un’insofferente richiesta di aiuto. Batman non fa più per lui.