Philip “Phil” Douglas Jackson è una delle più importanti figure nella storia dello sport. Allenatore più vincente nella storia del basket NBA, Jackson ha trionfato due volte come giocatore dei New York Knicks, e poi ha conquistato 11 anelli in venti stagioni (6 con i Chicago Bulls di Michael Jordan, Scottie Pippen e Dennis Rodman e 5 con i Lakers di Kobe Bryant e Shaquille “Shaq” O’Neal prima e del Black Mamba e di Pau Gasol dopo).
Perché stiamo parlando di Jackson in un sito di cinema? Perché il “Maestro Zen” – questo il soprannome con cui è conosciuto – è celebre per fare ricorso anche alla settima arte per preparare i propri giocatori.
Il coach del Montana, che abbiamo avuto l’onore di intervistare in un lungo incontro in esclusiva (era venuto per la prima volta in vita sua in Italia su invito di Antonio Monda, che lo ha ospitato alla 12. Festa del Cinema), è infatti riuscito a cambiare la storia dello sport comprendendo che non basta lavorare su schemi o stili di gioco predefiniti: il suo sistema (il Triple Post Offense, inizialmente ideato da Sam Barry) prevede che gli atleti mettano in moto la mente, arrivando a ragionare e prendere decisioni rapide sotto pressione, anticipando in tempo reale le mosse dell’avversario. È per questo che “the greatest living coach” (questo uno dei suoi soprannomi) ha sviluppato nel corso degli anni un approccio olistico all’allenamento, che lo porta a considerare film e libri come elementi fondamentali della preparazione atletica. Scopriamo i dettagli nella sorprendente intervista a Phil Jackson.
MR. JACKSON, È VERO CHE LA DOLCE VITA LE HA CAMBIATO L’ESISTENZA?
Sono cresciuto in Montana, in un piccolo paese e in un ambiente estremamente conservatore. Il cinema non faceva parte della nostra vita; anzi, non ci era nemmeno permesso di vedere la televisione.
Quando sono andato al college, negli anni ’60, ho cominciato a vedere i primi grandi film europei. Ricordo come adesso quando vidi La dolce vita di Fellini, in un programma di cinema dell’università. I dialoghi, il ritmo, l’illuminazione… era qualcosa che non esisteva nel cinema americano. A quei tempi il cinquanta percento dei film americani erano western. Rimasi estasiato.
Poi mi trasferii a Ne York nel ‘67, per giocare coi Knicks: era una città in grande fermento dal punto di vista artistico. Quelli erano gli anni di Andy Warhol e della Factory e, infatti, nelle università, i suoi film venivano proiettati di continuo; mi ricordo specialmente di Four Stars di Andy Warhol, dal momento che uscì l’anno del mio trasferimento. 25 ore di film!
PERCHÉ IL CINEMA DIVENTÒ COSÌ IMPORTANTE PER LEI?
A New York mi accorsi di una cosa: questi film, provenienti da tutte le parti del mondo, permettevano a tanti americani che, come me, venivano da piccoli paesini, di guardare le cose in modo diverso. Per noi il cinema era davvero un modo di scoprire e stupirsi.
Le faccio un esempio: all’inizio degli anni ’70 mi innamorai di un film che davano spesso nel mio quartiere a New York, El Topo di Alejandro Jodorowsky. Per uno cresciuto come me, vedere la religione e la spiritualità trattata in quel modo folle e geniale è stata un’esperienza unica.
COME È NATA L’ABITUDINE DI MOSTRARE SPEZZONI DI FILM PER PREPARARE I GIOCATORI?
È nata tantissimi anni fa, quando sono entrato nello staff tecnico dei Chicago Bulls. Prima di diventare capo allenatore, mi occupavo del settore video. Il mio compito era quello di preparare, insieme ad altre due persone, dei preparatory videos. Dovevo montare dei filmati da 8-10 minuti che mostrassero ai giocatori gli schemi offensivi e difensivi a cui gli avversari ricorrevano più spesso.
Era un lavoro difficile e duro, poiché il tempo era sempre pochissimo (nella NBA le squadre giocano anche per tre sere consecutive, n.d.r). Piuttosto che far vedere ai giocatori delle montone e ripetitive sequenze di attacchi, difese, schemi e situazioni di gioco, ho preferito inserire dei piccoli spezzoni di film, dei “punti esclamativi” per rafforzare il significato di alcuni passaggi.
USAVA “LE CLIP AL POSTO DEI PUNTI ESCLAMATIVI”?
Diciamo di sì. Utilizzavo una sequenza che mostrasse una calamità, un disastro, un fatto terrificante o apocalittico; per esempio un incidente di macchina da un film di James Bond.
COME LA PRESE LO STAFF?
Cominciammo a sfidarci! Avevo un collega, un ex-marine, il quale iniziò a fare una cosa simile: usava metafore tipiche dei Marines, come gli “stivali appesi alle pistole” (l’espressione inglese “boots hung up on guns” ha il significato del nostro “appendere le scarpe al chiodo”, n.d.r.), per mostrare come il nostro avversario dovesse finire. Quando sono diventato capo allenatore, mi sono fatto prendere la mano.
IN CHE SENSO SI FECE PRENDERE LA MANO CON LE CLIP?
Ricordo quando ad esempio usai Il Mago di Oz: una storia piena di creature che non pensano, non provano emozioni. Degli esseri “privi di un cuore”, di latta. Tradotto in termini cestistici, rappresentavano i nostri avversari: volevano intimidirci e farci del male, poiché eravamo come Dorothy (Phil Jackson sta parlando dei Chicago Bulls, n.d.r.), veloci e leggeri, e tutti volevano intimidirci.
Invece, durante i playoffs, ad ogni “serie” era dedicato un film. Ogni sera facevo vedere uno spezzone diverso, per mantenere alto l’interesse dei giocatori e sopratutto perché, per me, una serie di playoffs e un lungometraggio sono due cose molto simili: notte dopo notte, scendevamo in campo contro gli stessi avversari, quelli che avevamo già sfidato in campionato e che conoscevamo. Tuttavia, come accade nei film, le cose possono sempre cambiare…
I SUOI FILM SPORTIVI PREFERITI SONO HOOSIERS, TORO SCATENATO E COLPO SECCO. DUE CLASSICI E UNA SCELTA INUSUALE…
Prima di iniziare la mia carriera in NBA, ho allenato gli Albany, nella CBA – la Continental Basketball Association. Una lega minore americana che era stata soprannominata da quelli che vi militavano “Cockroach basketball Association” (Associazione Pallacanestro “Scarafaggi”).
La vita era dura: dormivamo in motel squallidi, viaggiavamo stipati in un pulmino e dormivamo poco o niente; prendevamo l’aereo soltanto per andare a giocare in due posti: Porto Rico e Florida. Io ricoprivo il ruolo di fisioterapista, allenatore e vice-allenatore; non ci si poteva permettere uno staff completo, per cui ognuno aveva diversi compiti.
Colpo Secco di George Roy Hill mi ricorda quegli anni; li racconta in modo formidabile, con grande fedeltà. Il pulmino stretto e scomodo, la disperazione della squadra, la mancanza di denaro e di mezzi. Non è certamente il primo film che ti viene in mente pensando a Paul Newman, ma lui è comunque fantastico.
CAMBIAMO ARGOMENTO: È VERO CHE QUANDO È ANDATO A VEDERE SHINING, HA ABBANDONATO LA SALA PRIMA DELLA FINE DEL FILM?
(Ride) Sì. Jack Nicholson è divertentissimo nei panni di Jack Torrance e Stephen King è un grandissimo scrittore. Tuttavia, non so per quale ragione, ma non ho mai amato gli horror; non li ho mai voluti vedere. Conosco Freddy Krueger perché è un personaggio popolare, ma non ho mai visto né mai vedrò film come Nightmare o Scream. Comunque, ci tengo a dire che è l’unica volta in cui sono uscito dal cinema prima della fine di un film.
PULP FICTION È TRA I SUOI FILM PREFERITI, EPPURE PARLANDO DI TORO SCATENATO HA DETTO CHE NON SOPPORTA LA VIOLENZA FUORI DAL RING…
Pulp Fiction film è pieno di ‘attività’. Non saprei usare un termine migliore. Succedono tantissime cose, si presentano tantissime situazioni. È un film di cui ho bisogno, poiché mi dà la possibilità di mostrare tantissime scene ai giocatori. È pieno di “punti esclamativi”!
Ad esempio, la scena in cui sodomizzano il gangster l’ho mostrata varie volte ai giocatori per illustrare la situazione. Quando gli avversari ci dominavano ed eravamo sotto nel punteggio, facevo vedere quella scena. L’iniezione di adrenalina era perfetta per scuotere la squadra in un momento di ‘blackout’; magari quando i giocatori sembrano un po’ stanchi o fuori forma, l’iniezione di adrenalina è perfetta.
Trovo che sia perfetta anche la scena dove per sbaglio una pistola spara, si crea una situazione a dir poco spiacevole e complicata e c’è bisogno che qualcuno – Mr Wolf – venga fuori e la risolva.
LA CITAZIONE DI MR WOLF , “NON È ANCORA IL MOMENTO DI COMINCIARE A FARCI I POMPINI A VICENDA”, TORNA MOLTO UTILE PER ALLENARE, VERO?
Quella è diventata una frase ricorrente, davvero. Quando vedevo che le mie squadre giocavano in modo troppo compiaciuto poiché avevano un largo vantaggio, oppure quando vedevo i giocatori troppo sicuri di sé e pertanto esageravano nei passaggi o nei tiri, perdendo dei palloni, dicevo loro quella frase. In spogliatoio o durante il time-out: “Gentlemen, please, let’s not start sucking each other’s cock”. Era il modo migliore per spronarli e convincerli che la partita non era finita. Dovevamo ancora vincere.
COME SCEGLIE I LIBRI CHE REGALA AI GIOCATORI?
La stagione NBA è lunghissima, si sta insieme per duecento giorni, si viaggia insieme in aereo, ci si allena; la squadra diventa una sorta di famiglia e ci si conosce bene.
Chiedevo sempre ai giocatori cosa stessero leggendo o quali fossero i loro interessi letterari. Per esempio, a Dennis Rodman ho regalato un libro illustrato sulle motociclette, dato che è un amante dei motori. A Pau (Gasol n.d.r.), che è un grande appassionato di letteratura, ho consigliato 2666 di Bolano.
A Michael Jordan invece diedi un libro di uno scrittore afroamericano, John Edgard Wideman. Ricordo che lui mi disse che non leggeva quel tipo dei libri, che non lo avrebbe letto. Quando questo succede, dico ai giocatori di lasciare i libri sullo scaffale perché prima o poi li leggeranno. In ogni caso, oggi non è più come gli anni ’90: sono tutti più appassionati allo schermo che ai libri.
E DELLE SERIE TV? CHE NE PENSA?
Non fanno per me. Game of Thrones è veramente eccessivo. Però ho visto e apprezzato una miniserie dello scorso anno, Guerra e Pace, con Paul Dano. Serve a ricordare agli spettatori che non c’è bisogno di girare un prodotto pieno di effetti speciali o azione: basta avere una grande storia e qualcuno che la sappia trattare. Non servono necessariamente eventi fenomenali…
QUINDI IMMAGINO NON APPREZZI NEMMENO I CINECOMIC…
Non se ne può più! Personalmente comunque ho visto soltanto uno, a casa di un amico. Credo si chiamasse Masters of the Universe, possibile?
INTENDE GUARDIANS OF THE GALAXY?
Sì, esatto, quello! L’altro giorno, prima di venire qui, stavo pensando a quanto costa oggi fare un film. Questo impedisce e impedirà necessariamente ad alcuni registi di fare cinema. Oggi per fare successo i film hanno bisogno di grandi incidenti, calamità, spettacolo gratuito. Prenda per esempio Ostili (Hostiles), il film che ha aperto la Festa del Cinema di Roma. Credo che Scott Cooper abbia fatto un lavoro fantastico.
COSA LE È PIACIUTO DI OSTILI (HOSTILES)?
Forse è eccessivamente melodrammatico, ma lo sappiamo che l’industria cinematografica funziona così. Comunque, Cooper ha realizzato un film semplice ed estremamente eloquente. La mia nazione si è comportata così con i nativi. Pensavano che l’America fosse stata data a loro da Dio e che dovessero conquistarla a ogni costo e in ogni modo.
ADORA I MUSICAL VERO? CI RISULTA CHE SETTE SPOSE PER SETTE FRATELLI SIA STATO IL PRIMO FILM CHE HA VISTO.
Esatto. Deve sapere che al liceo frequentavo il corso di “musical drama” e cantavo nel coro. A fine anno dovevamo mettere su un musical, una cosa piccola da 20-25 minuti con la quale avremmo “sfidato” le altre classi per vedere chi avesse messo in scena lo spettacolo migliore. L’ho fatto semplicemente perché avevo bisogno di essere parte di qualcosa che fosse molto lontano dal mio ambiente religioso e sicuramente cantare in un musical era parte di questo.
Comunque, mi piacciono i film sulla musica in generale. Giusto per citarne due: L’Ultimo Valzer di Martin Scorsese e George Harrison – Living in the Material World, sempre di Scorsese; la musica è stata una parte importante della vita di molti giovani e il regista di Taxi Driver è riuscito a comprendere e rappresentare questo amore per essa.
(intervista a cura di Giorgio Catalani e Luca Ciccioni)