Denis Villeneuve è stato uno dei protagonisti di questo anno cinematografico, dapprima con il suo ispiratissimo Arrival e poi con il complesso e intenso Blade Runner 2049. È forse proprio grazie a questi successi che finalmente arriva in una attesa edizione home video distribuita da CG Entertainment e PFA – e ricchissima di contenuti speciali – un suo capolavoro del 2013: Enemy, con Jake Gyllenhaal.
UNA STORIA DI ‘CLONI’ DA UN AUTORE PREMIO NOBEL
Enemy è l’adattamento di un romanzo del premio Nobel José Saramago, L’Uomo Duplicato, e pur riproponendone la maggior parte degli elementi della trama, se ne distanzia con pochi significativi elementi, che sono poi quelli che contribuiscono in modo decisivo a fare della pellicola un lavoro folgorante e indimenticabile.
Adam (Jake Gyllenhaal) è un professore che conduce una vita senza slanci, un uomo spento e insicuro nonostante abbia un lavoro rispettabile, un buon tenore di vita e una bella donna. Un giorno però, guardando un film, Adam scopre per caso una comparsa che gli somiglia in modo impressionante. L’idea di scoprire chi sia quel suo ‘gemello’ di cui non sapeva nulla diventa un’ossessione, ma quando finalmente incontrerà Anthony (sempre Gyllenhaal), aspirante attore spavaldo, indipendente e identico a lui finanche nei minimi dettagli, la sua vita prenderà una piega allucinata e imprevedibile.
I RAGNI, UNA PRESENZA RICORRENTE
L’idea dello scrittore portoghese è ovviamente interessantissima e il film, un thriller appassionante e intessuto di ossessione, sospende la realtà giocando con i dubbi dello spettatore. Chi è quell’uomo? Un gemello? Un sosia? Un clone? Un doppelgänger? Quale segreto si nasconde dietro l’esistenza di Anthony, e cosa farà crollare il precario castello narrativo che viene disvelato dall’incontro tra i due? Ma soprattutto, perché durante il film vediamo più volte, senza apparente spiegazione, ragni giganti che camminano su Toronto o donne col muso da aracnidi? C’è forse un’invasione aliena in corso?
Quei ragni sono l’essenza stessa del film. La grandezza nello script del coraggioso Javier Gullón è proprio quella di trasformare il già straordinario libro di Saramago in qualcosa di completamente diverso, mantenendone in qualche modo l’essenza ma spostandone in modo significativo il focus su un determinato aspetto della psiche maschile.
Già in tempi non sospetti, ben prima degli ingannevoli salti temporali di Arrival o delle ‘rivelazioni’ illusorie di Blade Runner 2049, Denis Villeneuve ha dimostrato di saper adoperare la macchina da presa come un prestigiatore (basta una seconda visione di Enemy per rendersene conto), ma soprattutto si è mostrato tanto coraggioso da adottare soluzioni narrative tutt’altro che asservite alla pigrizia del pubblico da blockbuster, pur mantenendo un mordente narrativo capace di tenere incollato anche lo spettatore comune, fino allo shock finale.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DEL FILM
PREMESSA: SE NON AVETE ANCORA VISTO IL FILM, NON LEGGETE ASSOLUTAMENTE LE RIGHE CHE SEGUONO. Farete sempre in tempo a tornare qui dopo la visione, e sarà allora che ci ringrazierete di avervi avvisati.
La storia del film procede su due binari paralleli. Uno è quello del punto di vista di Adam: la scoperta del suo sosia, l’ossessione nel trovarlo, la difficoltà nello spiegarne l’esistenza e quindi l’affanno nel gestirla. Fino alla fine del film non è chiaro se Adam sia consapevole della reale natura di Anthony, ma comunque è il suo punto di vista quello con cui attraversiamo la storia, tanto su un piano esplicito che simbolico.
Vi è poi l’altro binario. Quello allegorico. Quella dei ragni è la fobia più diffusa al mondo: sono esseri che con le loro quattro paia di ocelle hanno una visione più ampia della realtà, con le otto zampe sono quasi incontrollabili, che tessono una tela pericolosa e quando la vittima vi rimane invischiata sono pronti a catturarla e poi finirla. Ma soprattutto sono animali i cui esemplari femminili uccidono il maschio dopo l’accoppiamento, e questo è un elemento fondamentale, dato che in Enemy la presenza dei ragni simboleggia proprio il controllo esercitato dalle donne sugli uomini. Qual è la paura più diffusa tra un certo tipo di uomini, se non proprio quella di essere ‘intrappolati’ da una donna per poi venirne divorati?
Adam e Anthony sono la stessa persona, e poco importa se Adam abbia effettivamente un disturbo multiplo di identità o se quello del doppio sia solo un espediente narrativo. Sei mesi prima degli eventi del film il protagonista era un aspirante attore, fedifrago e indipendente, che in seguito alla gravidanza della compagna si vede costretto a trasferirsi con lei, ad abbandonare i suoi sogni di gloria a favore di una professione meno eccitante, e a doversi improvvisamente immaginare come un uomo fedele e legato indissolubilmente alla sua nuova famiglia; una condizione che comporta una cesura netta tra un prima e un dopo. Il film è la storia della lotta tra le due componenti opposte della psiche del protagonista: il suo io passato che cerca insistentemente di tornare, mentre il suo presente rassicurante potrebbe crollare da un momento all’altro davanti alla tentazione.
LA SPIEGAZIONE DEI RAGNI E DEL FINALE SHOCK
La struttura ciclica del film fa sì che la pellicola si apra con l’immagine di un locale ‘erotico’ in cui un gruppo di uomini religiosamente assorti (tra essi il protagonista) assiste con cupidigia all’immagine di quella che presumibilmente è una prostituta che schiaccia col piede una tarantola: la tentazione carnale che ha la meglio sulla moglie cui esser fedeli.
Toronto, location del film, è una sorta di spazio metafisico in cui lo spettro di un legame sentimentale stabile è una presenza incombente. La rete di cavi dei filobus, che viene inquadrata come fosse una ragnatela che intrappola la città, rappresenta le gabbie nelle quali viviamo senza quasi accorgercene. Un concetto legato anche al tema del totalitarismo e dell’imposizione dell’altrui volontà, che ritroviamo più volte durante la narrazione.
La donna nuda con la testa da aracnide che attraversa sottosopra un corridoio verso metà della pellicola rimanda a una donna seducente e con un vestito nero scollato sulla schiena che appare poco dopo, verso la quale il protagonista prova evidentemente un’attrazione ‘illecita’. Le due ‘realtà’ iniziano a sovrapporsi, e il simbolismo ad esser accompagnato dai primi strumenti per decodificarlo.
Vi è poi la figura della madre di Adam, interpretata da Isabella Rossellini. Nella visione del protagonista, quella della genitrice è la prima figura femminile al cui controllo opprimente un uomo deve sottrarsi nella sua vita, ma rimane anche una presenza distante che in qualche modo continua ad aleggiare sul presente. È ancora una volta un ragno a ricordarcelo: questa volta un gigantesco aracnide che torreggia sui grattacieli di Toronto e che – non a caso – è un chiaro rimando alla scultura Maman (Madre) di Louise Bourgeois, la cui versione bronzea è ospitata nella National Gallery of Canada.
Vi è poi il ragno più famoso del film. (Se non fosse ancora chiaro, ve lo ricordiamo: seguono spoiler) Parliamo di quello la cui immagine chiude la pellicola, sorprendendo e travolgendo lo spettatore.
Quando ormai sembra che Adam abbia trovato un equilibrio e sia pronto a costruire una famiglia, basta una chiave, l’istinto di cedere di nuovo alla tentazione, per far sì che l’amorevole consorte si trasformi improvvisamente in una gigantesca tarantola: il simbolo per eccellenza della paura del protagonista di impegnarsi in una relazione stabile.
Quel che è ancora più significativo, è il modo in cui la donna e l’uomo reagiscono nel guardarsi: l’aracnide è terrorizzato, perché il personaggio di Helen si è appena reso conto che i problemi passati non sono affatto risolti e che Adam è nuovamente pronto a tradirla; mentre l’uomo sospira con fare rassegnato, avendo compreso che il suo terrore di legarsi a una donna è ancora lì a minacciare il suo presente.
Un finale indimenticabile, forse il più scioccante della storia del cinema. Enemy è un capolavoro kafkiano sulla fedeltà e il tradimento, un titolo che non può mancare nella collezione di un cinefilo che si rispetti, e la cui complessità è ben riassunta dalla citazione di Saramago che apre la pellicola: “Il caos è ordine non decifrato”.