Svelare la Maria nascosta tra le righe delle sue lettere dietro il volto radioso de la Callas, una Maria desiderosa di una vita semplice, in conflitto con La Divina, alla ricerca della fama planetaria. Sdoganare l’immagine caricaturale costruita dai titoli a caratteri cubitali dei giornali e restituirle umanità: questo l’intento di Tom Volf, regista di Maria by Callas, in her own words, prodotto da Petit Dragon e Elephant Dog & Volf Productions, con la voce narrante di Fanny Ardan, e presentato alla 12. Festa del Cinema di Roma.
Come suggerisce il titolo, il regista scelto di lasciare che fosse la stessa Maria Callas a raccontarsi: attraverso le sue lettere, tramite le sue interviste. L’intera pellicola è costruita solo su materiale autentico, in gran parte inedito: non ci sono ricostruzioni, né interviste a coloro che la conoscevano. Dalle riprese amatoriali delle prove di Madama Butterfly ai super8 della vita privata della Voce del Secolo, lasciati nel formato originale perché, evocando l’atmosfera di quegli anni, trasportano lo spettatore in un altro mondo, fino alla lettera d’amore, l’unica, che la Callas scrisse ad Aristotele Onassis. “L’ho inserita perché in quelle righe si può leggere tutta la vulnerabilità del suo amore.” – Dichiara il regista – “A prescindere da tutto, era una donna veramente, profondamente innamorata.” Quattro anni di ricerche e montaggio, e nessuna resistenza da parte degli oltre trenta amici e colleghi della Callas contattati: “Vedevano che non ero alla ricerca di scandali o sensazionalismo, e che volevo realizzare un lavoro onesto pieno di rispetto per lei come donna e come artista. Sapevano che lo avrei fatto che lei lo avrebbe voluto, per questo hanno collaborato cedendomi senza problemi filmati, lettere e fotografie”
Le sequenze in cui si struttura il film, ognuna dedicata a una fase specifica della sua vita, sono inframezzate e collegate da un’intervista del 1970. L’intervista, essendo stata trasmessa in diretta, era andata perduta. “Ho trovato una persona, a New York, che aveva registrato quell’intervista, e probabilmente ne possedeva una delle poche copie esistenti al mondo. Ho deciso che sarebbe stata l’asse portante del film perché qui la Callas si rivela come Maria molto più di quanto non abbia mai fatto altrove, con un’apertura inedita”. Linea guida della ricerca è stata la volontà di tornare al materiale originario: molte le bobine originali ritrovate, ad esempio quelle dei concerti, che hanno permesso di dare un volto nuovo al conosciuto. Il regista ha poi trascorso molto tempo, in fase di montaggio, ad armonizzare il contenuto, in modo che il pubblico potesse avere un rapporto fluido e non disturbato con il prodotto finale: “Doveva esserci un dialogo intimo tra il pubblico e la Callas”. Le immagini sono state pulite tanto da sembrare di matrice moderna: un’accortezza necessaria per rendere la pellicola più vicina alle nuove generazioni.
Il regista ci racconta anche come è nata la sua passione per Maria Callas: “Fu un episodio molto particolare, quasi casuale, che mi ha convinto di essere destinato a questo lavoro. Ero a New York e per caso una sera, non so proprio cosa mi spinse, sono entrato al Metropolitan. Fu una rivelazione per me. Ascoltai Maria Stuarda, di Donizzetti, e stetti tutta la notte su YouTube a ascoltare l’opera lirica: quella notte scoprii la Callas. Provavo delle emozioni che non avevo mai provato prima. C’è tutto questo materiale inedito proprio perché personalmente avevo già visto tutto quello edito. Ho deciso di realizzare questo film perché volevo regalare nuove emozioni a coloro che già la conoscono, e riuscire a far avvicinare alla sua vera essenza quelli che non la conoscono ancora.”
Sono il fascino della Callas, il brivido della sua voce, la suggestione dei filmati d’epoca a fare la bellezza del film. Il montaggio ha il grande pregio di esaltare questi fattori, ma nel complesso, la pellicola non si discosta molto da un documentario, talmente tanto attinente alla fonte storica da limitare il ruolo del regista a quello di, seppur mirabile, semplice montatore e ricercatore. Una pellicola appartenente al genere documentaristico più rigoroso, che, senza distorsioni interpretative nate dalla soggettività, riduce inevitabilmente l’apporto artistico. Un servizio alla Callas, in cui il regista si nasconde per far parlare la sua protagonista, che ha già parole a sufficienza per descriversi.
“Forse questo film è una delusione nei confronti dell’immagine che è stata creata di lei. Io non ho fatto nessuna selezione: semplicemente ho lasciato che fosse lei a raccontare gli eventi della sua vita, dal suo punto di vista.”