Un film in bianco e nero, lungo tre ore, su un celebre pittore di icone russo del XV secolo. Descritto in questi termini, Andreij Rubliov (noto anche come Andrej Rublëv) potrebbe sembrare la gioia dei cinefili più arditi ma un incubo per un comune appassionato di cinema. E invece, il capolavoro datato 1966 del maestro russo Sergeij Tarkovskij – pur rimanendo un film non accessibile a tutti – è un ritratto storico appassionante e di una potenza estetica senza eguali, nonché un’ispirata riflessione su tematiche universali come la potenza quasi ultraterrena dell’arte e la natura distruttiva e prevaricatrice dell’uomo. Una delle più straordinarie vette mai raggiunte dalla settima arte, che non può mancare nel bagaglio culturale (e nella videoteca) di un cinefilo che si rispetti.
La pellicola, finalmente rilasciata in un’edizione blu-ray ricca di extra da General Video e distribuita da CG Entertainment, attraversa oltre vent’anni della vita del monaco e artista Rubliov, ma percorrendone la crisi umana e artistica si discosta spesso dalla sua vicenda biografica, per ambire a descrivere la Russia del ‘400 e al contempo il presente di Tarkovskij nonché l’assoluto della condizione umana.
Dopo un prologo tanto simbolico quanto spettacolare, totalmente slegato dalla storia, in cui un uomo si alza in volo con una sorta di mongolfiera e, prima di schiantarsi al suolo, ammira estasiato la bellezza di un paesaggio rurale; la pellicola – divisa in due parti – segue una scansione in otto capitoli nei quali il regista ci racconta la devota professione dell’arte, le bassezze e le invidie umane, i soprusi del potere, ma anche le allegorie della cristianità e l’efferatezza dell’invasione tartara.
In questo lungo percorso in cui spesso perdiamo di vista Rubliov per concentrarci su altri uomini e altre storie, rimane costante il confronto – a volte esplicito e a volte suggerito – tra l’innalzamento dell’animo (con l’arte, la bellezza della natura, la carità, la privazione o il perseguimento del giusto) e le pulsioni più bestiali che ci trattengono a terra (il rancore, il tradimento, la prepotenza, l’avidità e la violenza). Un doppio binario che senza alcuna traccia di retorica ci viene reso attraverso la poesia e la forza delle immagini – proprio come accadrebbe in una delle icone dipinte da Rubliov.
Con il suo linguaggio infestato di simboli e la composizione pittoricistica di ogni immagine, Tarkovskij sussume e supera il montaggio delle attrazioni e intellettuale di Ejzenštejn, allestendo un affresco monumentale e quasi metafisico che si sviluppa in modo tentacolare su piani paralleli e in una molteplicità di direzioni. Un viaggio in cui il regista decide di relegare la complessità umana al bianco e nero per, solo nell’epilogo finale, riscoprire il colore nelle immagini delle tavole quattrocentesche di Rubliov: la stessa distanza concettuale separa l’eterna armonia della bellezza e il caos delle nostre esistenze erratiche; un caos in cui però la disperata determinazione può portare a imprese ‘impossibili’, come accade nel memorabile finale.
Andreij Rubliov è un’opera la cui grandezza quasi trascende il mezzo filmico, un percorso ammaliante ma irto di ostacoli in cui lo spettatore potrà perdersi e ritrovarsi, proprio come accade al protagonista. Un precedente imprescindibile di cui ritroverete le tracce in tutto il più grande cinema dei giorni nostri, da Iñárritu a Villeneuve.