Le vicende che coinvolgono persone umili, assieme al racconto dei sentimenti malati ma allo stesso tempo travolgenti, da sempre affascinano gli artisti; non tutti però sono in grado di rappresentarli al cinema con l’armonia, la delicatezza e, contemporaneamente, la forza del giapponese Kazuya Shiraishi, regista di Birds Without Names (titolo originale Kanojo Ga Sono Na Wo Shiranai Toritachi). Presentato alla 12. edizione della Festa del Cinema di Roma, il lungometraggio è basato sull’omonimo romanzo di Mahokaru Numata.
Towako (Yu Aoi) è la giovane protagonista che condivide l’appartamento con Jinji (Sadawo Abe), un uomo più vecchio di lei, rozzo e maleducato che però ama profondamente la ragazza e la sostiene in ogni modo, anche economicamente. Towako è sempre più coinvolta in una spirale autodistruttiva che la risucchia verso il fondo e sembra non avere la forza di uscire dalla sua disperazione. Si limita a vivere nel passato, immersa nei ricordi della sua storia d’amore con Kurosaki (Yutaka Takenouchi), che non riesce a dimenticare. Cercando di riparare un orologio al quale è molto affezionata, conosce Mizushima (Tori Matsuzaka) e da qui inizia una relazione con lui, affascinata dall’animo apparentemente romantico e poetico dell’uomo. Dopo qualche tempo, si accorge di essere seguita da Jinji e inizia a temere per l’incolumità propria e di Mizushima. Tuttavia il precipitare degli eventi e le analogie che cominciano ad emergere tra la storia d’amore con Kurosaki e quella con Mizushima fanno lentamente riportare in superficie i ricordi della sua relazione passata, sedimentati nel suo inconscio e in grado di esplodere con incontenibile violenza.
Nessuno dei personaggi della pellicola si salva: ciascuno viene presentato nelle sue vesti migliori per poi trasformarsi, con lo scorrere dei minuti, in un modello negativo; in questo film tutto quello che è puro diventa immondo. Ogni amore è malato, invivibile, deformato dalla gelosia e dalla vigliaccheria, che si combinano in modo differente nei vari characters ma che costituiscono l’essenza e la base delle loro azioni. Sono le distorsioni psicotiche della natura umana a trovare spazio sullo schermo. Birds Without Names si basa sulla dicotomia tra il reale e l’immaginario, tra il tangibile e il visionario, in cui la verità si svela lentamente (prima mostrando la sua incoerenza e infine comprovando la sua natura completamente falsa), rovesciando continuamente tutte le aspettative dello spettatore. L’incomprensione è il filo rosso che attraversa l’intera opera: ogni volta il chiarimento arriva troppo tardi, quando già è accaduto qualcosa di irreparabile.
Magnetica, non c’è altro termine che possa descrivere questa pellicola: Kazuya Shiraishi tiene il pubblico incollato davanti allo schermo per tutti i 123 minuti di durata. Se escludiamo i dialoghi, Birds Without Names è un lungometraggio silenzioso: non c’è musica ad alleggerire il peso della realtà, la cui gravità è palese nell’assenza di rumore e negli sguardi che contribuiscono in modo consistente al fascino disturbante del film. In generale il prodotto audiovisivo si presenta armonioso e molto equilibrato, merito di una sceneggiatura solida e di una regia molto sobria.
Nonostante le indubbie qualità dell’opera stonano le interpretazioni dei personaggi in alcuni punti, soprattutto quella di Yu Aoi (Towako) che rompe la tensione in uno dei momenti più importanti con una performance non del tutto spontanea. Un’altra pecca, trascurabile perché stimola l’esercizio delle capacità deduttive dello spettatore, è la saltuaria confusione tra passato e presente: senza avere a disposizione un elemento che distingua chiaramente le dimensioni temporali, talvolta diventa difficile comprenderle.
Nel finale la delicatezza di uno stormo d’uccelli neri che si alzano in volo costituisce il marchio indelebile della poesia del quotidiano che avvolge tutto Birds Without Name; tutto ciò non commuove ma sconvolge, radicandosi a fondo più nel pensiero che nelle emozioni.