Gina Gardini, socio della casa di produzione Cattleya, ha seguito in prima persona tutta la realizzazione di Suburra – la serie, compresa la prima decisione di metterla in campo e la scelta degli head writer Daniele Cesarano e Barbara Petronio, soci WGI insieme agli altri scrittori Ezio Abbate, Fabrizio Bettelli e Nicola Guaglianone che hanno poi firmato il soggetto di serie, i soggetti e le sceneggiature delle puntate. Dato l’interesse particolare della WGI per questa serie (che attraverso i suoi autori un po’ sente sua) e per il ruolo del produttore esecutivo che – come si sa – negli Stati Uniti viene nella quasi totalità dei casi assolto da uno scrittore che assume, con il titolo di showrunner, la direzione anche del processo produttivo, abbiamo cercato di capire con Gina come sono andate le cose con Suburra – la serie.
Cara Gina, come saprai WGI-Writers Guild Italia spera che in Italia si possa cominciare ad adottare in modo più sistematico la figura dello showrunner, che nel quadro produttivo USA è artefice e custode della linea espressiva e narrativa di una serie tv. A questo scopo abbiamo organizzato Showrunner Italia, il primo workshop USA in Italia con Neil Landau. A proposito di questo e del lavoro da te svolto per Suburra la serie, Wired ti definisce “la cosa più vicina a uno showrunner”. Forse avrebbe dovuto scrivere “la persona più vicina a uno showrunner”, ma al di là della forma è questo il punto che ci interessa. Senti appropriata questa definizione, ne preferisci una diversa?
Su Suburra sì la definizione è giusta. È una serie producer driven perché era concepito da noi, con dei requisiti specifici dal punto di vista creativo, sapendo anche che doveva uscire in 190 paesi. Un progetto messo in moto da Cattleya.
Allargheresti questa definizione anche al lavoro svolto su Gomorra la serie? O ci sono state differenze?
Per quanto riguarda le altre serie di cui mi sono occupata, su Romanzo Criminale e le prime due stagioni di Gomorra il mio ruolo è stato condiviso al 50% con il regista Stefano Sollima. Per la terza stagione di Gomorra mi ha affiancato Gianluca Leoncini che mi aveva già seguito per tanti anni facendo parte della mia squadra. Però non c’è un credito sui titoli in questo senso. È quello che è successo: abbiamo condiviso tutto.
Da sceneggiatori, ci interessa molto approfondire il gancio tra la fase di scrittura e quella successiva della realizzazione con le varie articolazioni di pre-produzione, riprese, post-produzione eccetera. Ti chiederemmo di analizzare insieme a noi come sono andate le cose con Suburra la serie. Partiamo dall’idea. Cosa c’era già di definito su Suburra?
La scelta dei personaggi del film che volevamo anche nella serie. Lo spirito, il tono… Sono stata anche la produttrice del film Suburra e per me era molto importante che la serie fosse a 180 gradi diversa dal film e da Gomorra. Era molto importante che la serie avesse un’identità autonoma, originale. Sapevamo che non avremmo potuto dar seguito al film, perché molti personaggi che volevamo nella serie erano morti quindi eravamo obbligati a partire come prequel. Però, quanto tempo prima sarebbe dovuto cominciare il racconto e il gancio preciso con la storia del film è totalmente un’invenzione di Barbara Petronio e Daniele Cesarano, gli head writer di Suburra la serie. Sapevamo che ci voleva un format fortissimo…
Come società di produzione Cattleya avete messo in moto lo stesso meccanismo utilizzato per Romanzo criminale e in un certo senso (con il coinvolgimento di Fandango) anche per Gomorra. Adattamento di un romanzo, realizzazione di un film, realizzazione di una serie tv. In primis un libro e dunque in primis un autore. Quali sono i punti che più vi hanno convinto di avviare Suburra?
Prima di tutto gli elementi fondamentali della storia. Sappiamo che se vogliamo competere sul palcoscenico internazionale dobbiamo ricorrere alla nostra specificità, che per Gomorra, ad esempio, è la realtà di Scampia e Secondigliano. Per Suburra… Roma è la sede della Chiesa più potente del mondo e insieme la capitale politica di una nazione che ha visto nascere al proprio interno e diffondersi ovunque la tipologia mafiosa del crimine organizzato. Questa compresenza di Chiesa, politica e criminalità (che in parte si trasforma in complicità) è una cosa unica al mondo, non esiste da nessuna altra parte. Il film, che io amo moltissimo, aveva un intreccio, raccontava una successione di eventi, ma non c’era spazio per approfondire questa specificità. I personaggi erano un po’ al servizio degli eventi. Nella serie, ci tenevo proprio a spostare la proporzione: mettere il plot al servizio dei personaggi, che in tv sappiamo essere la forza trainante che porta lo spettatore all’interno della storia, creare un grande spazio di approfondimento.
E riguardo alle differenze di stile con Gomorra e Romanzo Criminale? In fondo condividono tutte e tre il punto di vista dei criminali, il racconto del male, del loro mondo: c’è chi ha protestato e non avrebbe voluto un’altra storia di delinquenti…
Il mondo del male è sempre più intrigante ed eccitante del mondo dei buoni. Si può fare una serie solo dal punto di vista del bene, ci sono delle serie incredibili… Però una cosa che abbiamo capito dopo Romanzo criminale è che avere uno sguardo unico aiuta l’approfondimento del racconto. Così il male si racconta meglio assumendo il suo punto di vista, quello del male, senza mischiarlo con quello del bene.
E questa è la parte simile. Le differenze?
Le differenze? Per me non c’è niente di paragonabile. Nel senso che Suburra racconta tre mondi diversi (politica, chiesa e criminalità) e all’interno di questi tre mondi altrettanti personaggi diversi tra loro: c’è lo spirito e il cinismo romano, un’ironia che Gomorra non può avere. Gomorra mostra i meccanismi forse mai visti della camorra in posti mai frequentati. Il racconto prende ispirazione da fatti realmente accaduti, non ha un’impostazione ideologica in modo che lo spettatore possa farsi una propria opinione su quello che sta accadendo: è anche una responsabilità. Suburra – la serie è ambientata in una delle capitali più importanti del mondo, che ha una storia millenaria incredibile. I personaggi sono molto diversi. I mondi sono diversi e la responsabilità è diversa: è evidente che tra politica, chiesa e criminalità c’è complicità. Si sa, forse non si sa quanto questi legami siano stretti, ma si suppone, si immagina… Invece in Gomorra abbiamo mostrato, grazie al lavoro di Saviano prima e degli sceneggiatori dopo, realtà e meccanismi che non si pensava esistessero e fino a dieci anni fa erano sconosciuti.
In Suburra – la serie entra in scena Roma con tutta la sua bellezza. Qualcuno ha trovato eccessivo l’uso delle sue architetture monumentali come sfondo delle riprese…
Quello che mi dici, lo registro come un fallimento. Il nostro desiderio era proprio l’opposto, evitare le cartoline. Abbiamo fatto, insieme ad Arnaldo Catinari, una scelta di colori per ogni scena e per ogni personaggio, con l’idea di desaturare tutto, non volevamo il cielo azzurro intenso, per esempio. Sì, si vede il Colosseo una volta, Piazza Venezia, i Fori, Castel Sant’Angelo, ma è quello che si vede tutti i giorni passando sul Lungotevere, o aspettando un autobus: non abbiamo voluto la Roma dei turisti, ma di quelli che ci vivono. Del resto Roma è maestosa, Roma è un personaggio in Suburra.
Parliamo del tono della serie. Suburra tu la senti più notturna di Gomorra?
No. Assolutamente no. Visto che era un action drama abbiamo chiesto agli scrittori almeno il sessanta per cento delle scene di notte. Anche Gomorra aveva lo stesso bilanciamento di luce…
Da questo punto di vista Romanzo criminale era più solare…
Sì, assolutamente sì. C’era molto più giorno.
E uno spirito più giovanile…
Anche più nostalgico, più ironico. Nonostante sappiamo che finirà male, c’è una speranza, c’è gioia nella loro amicizia, nel sogno che volevano realizzare…
Pure per Suburra si è parlato di energia vitalistica, mediterranea. Ti ci ritrovi?
Non tanto. Nell’immaginario internazionale, l’Italia e’ questo, vitale e mediterranea. In parte e’ vero, in parte dobbiamo rompere la percezione stereotipica. Il nostro lavoro è di essere più specifici all’interno di un racconto universale. Questa combinazione rende le nostre serie più esportabili. Per me Gomorra è Shakespeare, i temi sono universali come quelli di una tragedia greca. Quello che lo rende incredibile è il microcosmo in cui vive, i contributi artistici della regia, della musica e della fotografia. Idem per Suburra, il tema della serie, gli archi narrativi interiori dei nostri personaggi sono comprensibili in tutto il mondo ma e’ il contesto che rende la serie unica.
Dunque, per Suburra – la serie avete affidato a Daniele e Barbara le vostre richieste. Come avveniva lo scambio con te, qual è stato il meccanismo creativo? Ci interessa molto capire come la scrittura si interfaccia e si modifica in funzione della realizzazione (e viceversa…)
È difficile rispondere: lo scambio è stato costante, giornaliero. Prima di scrivere una sola riga, c’è stata una serie di incontri durante i quali abbiamo battezzato il concetto della serie. Con me spesso c’era anche Kim Gualino, che fa parte della mia squadra come delegato di produzione e editor. Una serie di incontri, ti dicevo… lunghe discussioni, scambi, certe volte anche delle litigate… per arrivare al concept che hanno poi scritto Daniele e Barbara: un testo breve, una decina di pagine, da cui hai il sapore della serie, che abbiamo condiviso internamente in Cattleya e poi con Netflix. C’è stato così un lavoro intenso di scritture e riscritture. Nello stesso modo poi abbiamo elaborato il soggetto di serie con i capi scrittori e anche con gli altri perché Fabrizio (Bettelli) e Ezio (Abbate) e Nicola (Guaglianone) sono stati coinvolti molto presto nella scrittura. Stesso processo, ma molto più lungo. Quando il soggetto di serie è solido si passa agli outlines che certe volte sono soggetti di puntata oppure – come è stato preferito in questo caso – delle scalette molto precise, divise per scene numerate con una breve descrizione. Con le scalette hai un’idea precisa dei pesi. Quello che manca, ovviamente, è la sfumatura, il calore. Noi volevamo che Suburra- la serie fosse molto emozionante e piena di calore. Le scalette sono documenti molto difficili da condividere nella loro specificità, perché per essere funzionali tagliano un po’ fuori l’emozione, e così nascono dei dubbi: ma Spadino qui è ancora innamorato o no?… Anche per gli outlines facciamo molte riscritture…
Qual è il tuo punto di vista quando leggi questi testi, a cosa stai attenta soprattutto? Io, per dire, starei attenta alla coerenza del personaggio, perché fa questo adesso, come cambiano le relazioni, come la storia passa attraverso questa azione ecc…
Nelle mie letture sto attenta a tutto. È da una scena d’azione, che so se è credibile, se ho la location o è un tradimento del personaggio. Nella mia prima lettura, scrivo ogni cosa che mi viene in mente, anche una sciocchezza, poi leggo una seconda volta senza prendere appunti. Poi rileggo le mie note e capisco i problemi macro e piccoli. Però non parto mai dalla dimensione macro, parto dai dettagli: è questo il mio modo, la mia procedura personale. E quindi scriviamo tante, tante note…
È stata Netflix a pretendere una writers’ room?
Assolutamente no. L’interesse di Netflix per Suburra-la serie è stato un caso. Il capo di Netflix delle produzioni internazionali, Eric Barmak, stava a Roma in vacanza: è innamorato dell’Italia, tifoso della Roma e conosceva Marco Chimenz. Riccardo Tozzi aveva già incontrato Ted Sarandos a Ischia mesi prima, e lui aveva apprezzato molto Gomorra. Così quando Eric è venuto a Roma, ha chiesto se avevamo qualcosa da fargli vedere: noi avevamo appena finito il film Suburra e lui, dopo averlo visto, ha detto: questa è una serie.
I tempi erano strettissimi: da quando abbiamo concluso il contratto con Netflix a quando siamo entrati in produzione sono passati solo 13 mesi. Per noi era un modo di procedere non abituale, per loro era naturale. La differenza risiede nel diverso metodo di produzione: ci siamo chiariti entrambi le idee sul sistema e sul mercato italiano. Per loro era impensabile girare un episodio in 16 giorni, ma poi hanno capito la complessità di girare non in studio, ma in più location reali, a Roma Nord, Sud, centro…
Ma la writers’ room non è stata una loro richiesta. Barbara e Daniele sentivano l’esigenza di una struttura più organizzata, ma quello che abbiamo realizzato non è una writers’ room come si intende in USA. Nel sistema americano, la produzione prende uno scrittore, lo paga per dieci mesi per stare in una stanza, magari con altre 27 persone, dalle nove di mattina alle sette di sera, scrive o non scrive, sta lì. Lo scrittore ovviamente farà di tutto per avere una delle sue sceneggiature prodotte, magari dopo averne scritte quindici… ma non è garantito che il suo lavoro verrà utilizzato.
In Italia nessuno fa così, non abbiamo abbastanza mercato. Noi produttori non abbiamo abbastanza soldi per permetterci un tale investimento e nessuno sceneggiatore può permettersi di entrare dieci mesi in una writers’ room e rifiutare altre offerte.
Negli Stati Uniti lo sceneggiatore non può lavorare per altre produzioni su due, tre progetti tv diversi in contemporanea. Al massimo, se sei un grande scrittore, puoi ottenere il permesso di lavorare a un film. La cosa che mi ha sconvolto di più arrivando in Italia è stata proprio questa, cioè che qui gli sceneggiatori lavorano a più progetti nello stesso momento: adesso so perché.
Quindi per la prima stagione di Suburra – la serie abbiamo organizzato nella fase di concept e soggetto di serie una writers’ room ridotta a tre giorni a settimana. Per le outlines (scalette) e le sceneggiature ognuno avrebbe lavorato a casa sua. Ma anche con questa riduzione di giorni e di settimane da condividere non è stato facile organizzarsi, visti i diversi impegni di ciascuno degli sceneggiatori. Alla fine però ci siamo riusciti e se ne sono visti i frutti. Così anche per la seconda stagione abbiamo trovato – su suggerimento di Barbara – un modo per far sopravvivere la writers’ room, distribuendola su cinque mattine a settimana. Non potendo applicare la soluzione americana, dobbiamo cercare il modo migliore per realizzarla in Italia.
Andiamo avanti. Daniele e Barbara sono stati già produttori creativi, ad esempio per Il mostro di Firenze. Perché non avete pensato, anche a favore di Cattleya, a coinvolgerli nella produzione, a innovare anche il nostro sistema con la figura dello showrunner? Del resto, anche in USA, lo scrittore quando assume il ruolo dello showrunner ha un ampio spettro d’azione e può passare dal ruolo di controllo totale compreso il budget, a quello più specifico del controllo della identità della serie in tutte le fasi.
Suburra ha una visione molto precisa. Come ti dicevo è partita dalla produzione e in questo caso la scelta di trovare uno showrunner interno era obbligata. Non perché Daniele o Barbara non siano in grado di dare un input creativo importante. Ma non erano venuti loro a proporre la serie a Cattleya, a pitchare la loro visione della serie, a suggerire degli attori…
E questo invece vi è successo in altre occasioni? Vi aspettate che possa succedere?
Con la responsabilità creativa c’è anche una responsabilità produttiva importante. Sì, ci può essere una complicità, come è stato con Stefano, anche con uno sceneggiatore. Ci vogliono anche però delle competenze da parte dello scrittore, una formazione molto diversa dalla maggior parte degli sceneggiatori italiani e che mi auguro venga presto colmata anche con l’impegno di noi produttori. Per il resto ben venga lo scambio creativo. Serve un generale, ma serve sempre anche la collaborazione di tutti, una serie è una collaborazione.
Cioè, per quanto riguarda Suburra, avete condiviso con gli scrittori qualche scelta di casting?
No, non nel senso di prendere insieme una decisione. Però non abbiamo mai smesso di scrivere e riscrivere durante le riprese e quindi c’è stato continuo scambio: ho mostrato loro i provini degli attori, alcune locations… Sì, le scelte le abbiamo fatte noi, ma gli scrittori erano aggiornati su quello che succedeva.
Qual è stata la fase più complessa per te nella realizzazione di Suburra e quella di cui più sei fiera?
La sfida era realizzare Suburra – la serie in un tempo molto accorciato per pre-produzione e post-produzione, tre o quattro mesi di meno rispetto alla nostra prassi, senza compromettere la qualità. Questa era la parte più difficile e quindi la parte di cui sono più fiera. Sono molto fiera di Suburra, è una bellissima serie. Ricevo messaggi dal Brasile, dall’Equador, dalla Malesia… è una serie che ha avuto il suo perché in tutto il mondo. È una serie che ha una forte identità diversa dal film, e non ha niente a che fare con Gomorra. È un fortissimo prodotto italiano che sta andando bene in 190 paesi. Quindi sì, sono molto fiera.
C’è stato un momento in cui hai dovuto chiedere una inversione del racconto?
Ci sono molti motivi per cui il racconto può cambiare. Un attore, per esempio, magari ha delle caratteristiche che obbligano a soluzioni diverse, una battuta che non si riesce a pronunciare o delle scene che non si riescono a girare. Oppure delle locations che si rendono indisponibili. Per Suburra – la serie, abbiamo fatto un enorme lavoro sul finale per esempio, per chiudere tutti gli archi… e poi al montaggio ci sono stati molti spostamenti riguardo alla successione delle sceneggiature.
Una responsabilità di scelte che grava tutta su di te?
Sì. Anche se ho il mio Virgilio, mago creativo, in Riccardo Tozzi con cui ho un confronto costante che mi garantisce uno sguardo esterno, importantissimo. E c’è un committente internazionale, come Netflix, che visiona le puntate e fa delle osservazioni: c’è una procedura di montaggio e rimontaggio che ha delle richieste un po’ diverse da qualsiasi network italiano…
Suburra – la serie è orfana del credit Created by. Perché?
Il credito Created by in USA è arbitrato dal WGA che ha delle regole molto specifiche per cui è il WGA che ne decide l’assegnazione e non lo scrittore e non il produttore e non il committente. Ogni produzione propone un credito, lo manda al WGA che ha due settimane per decidere se il credito è corretto sulla base del soggetto di serie e della sceneggiatura del pilota. Poi, confrontano script e pilota realizzato e confermano o meno i credits.
Però la WGA è stata creata dagli sceneggiatori per difendersi dai registi, che li consideravano al loro servizio. Adesso per la tv americana il regista di puntata conta meno (a parte chi gira il pilota), nel senso che non ha un peso sull’impostazione della serie. A prescindere dalla loro bravura, ovviamente. Quindi il Created by va allo scrittore che ha scritto il pilota della serie, anche se poi non ha scritto altro e la serie è stata riscritta e realizzata da un altro showrunner. C’è un po’ di confusione invece nel sistema italiano: dobbiamo trovare un equilibrio e una soluzione…
Si potrebbe pensare di fare sistema attorno a questo problema, potremmo ragionare produttori e sceneggiatori in modo collettivo per trovare un accordo sui crediti?
Penso di sì. Anche se è molto difficile quando hai un regista che ha una visione molto importante, perché in Italia c’è questa preferenza per i registi. Ad esempio, il contributo che ha portato Stefano Sollima per creare il mondo di Gomorra è per me il novanta per cento…
Cioè, consideri il suo apporto più della scrittura di Saviano?
Senza Saviano il brand Gomorra non esisterebbe nemmeno! Ma Gomorra – La serie non sarebbe quella che è senza la visione di Stefano.
Per Suburra non possiamo parlare di Created by per Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini che hanno scritto il romanzo…
No, perché non hanno scritto la serie.
Ma non c’è Created by neanche per Barbara e Daniele…
n questo caso no, per i motivi che ci siamo detti prima. Suburra nasce da un libro e poi da un film… e poi non c’è il Created by perché in Italia non c’è la WGA. E la WGA è una realtà importante, un sindacato forte che sostiene anche economicamente gli sceneggiatori e nel quale costa molto entrare e rimanere, anche perché gli garantiscono una pensione. Non è che puoi prendere una parte di un sistema e dimenticare il resto. Quindi pensare di usare termini come created by e showrunner, estrapolandoli da quel contesto, per me è sbagliato. Detto questo va trovata assolutamente in Italia una soluzione che dia agli scrittori un riconoscimento più importante all’interno delle serie tv. Dobbiamo trovare un’espressione nostra, relativa al nostro sistema che forse vent’anni fa non era pensabile… Quando sono arrivata in Italia, ogni regista firmava anche le sceneggiature, credevo fossero tutti sceneggiatori. Mi sono stupita, ma poi ho capito.
Grazie, Gina, della tua generosità. Sappiamo di averti tormentato con particolari tecnici, che per qualcuno non sono essenziali, ma per noi sono fondamentali.
(intervista a cura di Giovanna Koch)