Con alle spalle una produzione di quasi otto anni, The Greatest Showman è un nuovo tassello della recentissima rinascita del musical sul grande schermo. Firmato da Michael Gracey, al suo esordio dopo una carriera negli effetti speciali, il film racconta la storia dell’impresario circense Phineas Taylor Barnum e si caratterizza per un desiderio (facilmente comprensibile già dal trailer) di non voler essere in alcun modo un biopic.
Considerato l’inventore del circo come lo conosciamo oggi, Barnum riuscì ad appassionare il pubblico della metà dell’Ottocento a un inedito tipo d’intrattenimento: l’idea rivoluzionaria fu quella di incuriosire gli spettatori ancor prima della visione dello spettacolo. Inoltre, egli incarna una delle prime figure dell’impresario moderno in una convergenza tra artista e genio del marketing. Questo Barnum, interpretato da un impeccabile Hugh Jackman, è un bugiardo, affabulatore e meschino uomo d’affari, ma gli si vuole sempre un gran bene. Un imbroglione con la faccia da bravo ragazzo.
Inserito nella cornice della più prevedibile parabola del sogno americano, il protagonista è l’esempio dell’uomo dalle umili origini che si fa da sé, convinto che la posizione sociale sia determinata solo dalle proprie forze. Viene esaltata la sua tenacia e la voglia di sognare in grande, mentre il lato più oscuro della sua figura viene lasciato in disparte. Evitata tutta la contraddittorietà e geniale malignità di Barnum (centrale nella visione di David Lynch in The Elephant Man), The Greatest Showman preferisce condire tutto con “zucchero, cannella e ogni cosa bella”: anche quando si intravede qualche problematicità nel protagonista, questa viene solo tratteggiata per poi essere lasciata in superficie.
Patinata e dolce, con un finale diabetico, la scrittura travolge tutti i personaggi e non risparmia neanche i freaks dello spettacolo, coloro che avrebbero potuto mischiare le carte in un film eccessivamente buonista. In alcuni momenti, la pellicola riesce a mostrare la piena consapevolezza e l’isolamento dei ‘fenomeni da baraccone’ rispetto a Barnum (lui non è uno di loro), eppure per loro non vi è mai tempo a sufficienza. La celebrazione della diversità è chiara nelle intenzioni (il brano This Is Me è un inno che ricorderete), ma non nella sceneggiatura: dimenticate i Freaks di Tod Browning perché, anche se esteticamente bruttini (neanche troppo) e arrabbiati, questi uomini e queste donne umiliati dalla società faranno ben poco oltre a studiati numeri coreografici.
Tutta questa melassa non danneggia il lavoro magistrale portato avanti sulla messa in scena: Michael Gracey si diverte alla maniera di Baz Luhrmann per la cura visiva e per la non aderenza storica con costumi, ritmi e numeri acrobatici.
Prima di collaborare al music department di La La Land, gli autori Benj Pasek e Justin Paul erano già a lavoro sui testi di questa pellicola: il risultato è una ricchissima e variegata colonna sonora che lascerà più di qualche linea melodica nella vostra testa.
Hugh Jackman regge sulle proprie spalle un gigantesco one-man show grazie alla sua versatilità e alle sue capacità canore, ormai note ai più. Dopo gli albori adolescenziali (High School Musical), Zac Efron ritorna al musical interpretando il protetto di Barnum, protagonista di una storia d’amore particolarmente esile in compagnia di Zendaya, nuova stella di Disney Channel già vista in Spider-Man: Homecoming. Nel cast anche le poco valorizzate, seppur brave, Michelle Williams e Rebecca Ferguson.
In un momento di grande ricerca per il musical cinematografico contemporaneo, bisogna evidenziare la sana ambizione di voler realizzare un musical senza il bisogno di avere alle spalle un titolo nato e cresciuto a Broadway. Nonostante questo, nell’intenzione di non voler né omaggiare né stravolgere il musical classico, si finisce con il respirare un’aria dolciastra e retrò. Una bella confezione e un brano studiato per occupare le nostre playlist per un film d’altri tempi. Nel senso meno positivo del termine.
The Greatest Showman sarà in sala dal giorno di Natale.