Black Mirror, nel corso degli anni, ha esplorato vari generi: dal thriller all’horror, passando addirittura per la romantic comedy. Uno dei grandi segreti del successo della serie creata da Charlie Brooker è infatti quello di mantenere intatta la sua identità pur cambiando continuamente pelle. Il prodotto Netflix in passato non si era mai cimentato con il post-apocalittico, ma il geniale showrunner rimedia alla lacuna con Metalhead, il penultimo episodio della quarta stagione, che vede alla regia un grande talento come David Slade (che oltre ad essere il regista di Hard Candy, ha lavorato in grandi produzioni televisive come Breaking Bad, Hannibal e American Gods).
UN GRUPPO DI TRE PERSONE LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA
In una Scozia disabitata e ostile, tre superstiti vagano per quella terra desolata alla ricerca di qualcosa di importante, finché all’interno di un magazzino abbandonato non si imbattono in un piccolo ma letale robot il cui esoscheletro ricorda uno strano incrocio tra un cane e uno scarafaggio. Da lì l’episodio racconterà la fuga dal pericoloso quanto determinato automa, concentrandosi in particolare sulla lotta per la sopravvivenza del personaggio femminile (interpretato da Maxine Peake).
METALHEAD AFFASCINA MA NON CONVINCE DEL TUTTO
Metalhead è il primo episodio nella storia di Black Mirror ad essere girato in bianco e nero: la fotografia dell’esperto Aaron Morton (Orphan Black, American Gods) è perfetta nel sottolineare la cupezza di un contesto in cui la speranza sembra ormai essere scomparsa. Puntata quasi del tutto muta (se escludiamo i primi minuti), la 4×05 utilizza le regole del survival movie e, pur non rappresentando uno dei picchi di Black Mirror, ha al suo interno quel cinismo che da sempre contraddistingue lo show.
L’accoppiata Slade/Brooker dimostra di saper lavorare bene insieme: in Metalhead il regista se la cava egregiamente e non perde occasione di proporre ancora una volta alcuni vezzi registici che gli hanno permesso di diventare uno dei registi televisivi più riconoscibili in circolazione (dal ricorso al ralenti all’uso delle scie di sangue per creare tensione narrativa). Nonostante l’ottima confezione, è però evidente come Charlie Brooker abbia stavolta attinto a piene mani dal miglior cinema di genere distopico/post-apocalittico (da Interceptor di George Miller a Terminator di James Cameron, passando per le opere di Neill Blomkamp) e proprio per questo una certa sensazione di déjà vu si sostituisce alla tipica originalità che ha decretato la fortuna della serie.
Un altro grande problema di Metalhead è nella sua incapacità di creare suspense: nel corso della caccia all’uomo da parte del cane-robot, il susseguirsi delle dinamiche thriller/horror finisce per risultare prevedibile, vanificando tutto il potenziale dello spietato antagonista concepito dallo showrunner. Non basterà nemmeno un timido tentativo di coup de théâtre prima dei titoli di coda a risollevare le sorti di una puntata i cui sviluppi risultano costantemente telefonati, rendendo la 4×05 di Black Mirror un esperimento riuscito a metà.
Certo, siamo lontani dalle vette della serie di Charlie Brooker, ma va riconosciuto a Brooker il pregio di mettersi sempre in gioco, anche a costo di mancare il bersaglio. In senso assoluto il mediometraggio è tutt’altro che un fallimento (soprattutto se consideriamo i filler di alcuni importanti prodotti televisivi), ma facendo un inevitabile paragone con gli standard qualitativi che Black Mirror ha fissato nel corso dei suoi 6 anni di esistenza, ci troviamo davanti a uno dei capitoli meno rilevanti della nuova stagione.
La quarta stagione di Black Mirror sarà su Netflix dal 29 dicembre.