“Ecco qua! Un doppiatore tra i Cinefili… Non c’è più religione!”
Alcuni di voi lo stanno pensando, vero? Ebbene sì, sono Edoardo Stoppacciaro, ho una rubrica su questo sito e sono un doppiatore. Ma prima che qualcuno gridi allo scandalo vorrei spiegarvi il motivo della mia presenza.
L’Anonima Cinefili parla della Settima Arte. E il doppiaggio, in Italia, è una realtà importante (non imprescindibile, come certi catastrofisti vorrebbero far credere) del settore audiovisivo. Quasi una “Settima Arte e Mezzo”.
Sono qui semplicemente per raccontarvi il cinema e le serie TV da un punto di vista diverso, da addetto ai lavori di un mestiere che è ben fatto solo quando non lo si nota. E sì, magari coglierò l’occasione per raccontarvi un po’ della sala di doppiaggio e per sfatare qualche lugubre leggenda metropolitana che avvolge questo ambiente da anni.
Cominciamo con una premessa semplice.
Sin dalle sue origini, il doppiaggio è uno strumento di mediazione culturale.
Né più né meno. Come di ogni strumento, anche del doppiaggio è ampiamente possibile non avvalersi, così come si può scegliere di leggere un libro in lingua originale.
Per ora non entrerò nel merito delle numerose e alquanto alla moda polemiche sul doppiaggio; mi limiterò a qualche precisazione necessaria a capire un po’ meglio fino a che punto il cinema e il doppiaggio sono avvinghiati l’uno all’altro, e spero non me ne vorrete se mi abbandonerò un pochino alla malinconia per un’epoca della quale conosco solo i racconti più o meno leggendari.
Il doppiaggio (o meglio, l’esigenza del doppiaggio) nasce nel 1929, in pieno Ventennio fascista. Proprio in quegli anni il cinema compì un poderoso passo avanti: con l’avvento del sonoro i film cessarono di essere solo immagini e didascalie. Nella piccola e tormentata Italia, però, c’era un problema: il regime autarchico imponeva che, nelle italiche sale cinematografiche, i soli film sonori ammessi fossero quelli recitati in italiano, italiano, fortissimamente italiano.
Un bel problema per il produttore statunitense Hal Roach, che all’epoca puntava molto sull’esportazione. Ed ecco che l’americano si ingegnò.
A partire dal primo cortometraggio sonoro della serie di Stanlio e Ollio, per ogni scena, Roach realizzò versioni recitate anche in francese, tedesco, spagnolo e italiano, con i poveri attori che si limitavano a leggere alla meno peggio delle parole senza sapere che cosa diavolo stessero dicendo. Il procedimento si rivelò giusto un tantino farraginoso e, per i paesi non anglofoni, rese il parlato di Laurel e Hardy irresistibilmente comico, pieno di tutte quelle storpiature come il celebre “stupìdo” che, per noi, sono il loro marchio di fabbrica.
Tant’è che, quando negli anni ‘30 l’Italia iniziò a sviluppare la tecnica del doppiaggio, si decise di mantenere quelle buffe caratterizzazioni “inglesizzate” anche quando, a dare la voce a Laurel e Hardy, furono gli italianissimi Alberto Sordi e Mauro Zambuto.
Il doppiaggio è iniziato così: con la necessità che il pubblico italiano potesse apprezzare il grande cinema straniero con la stessa facilità con la quale si godeva i film nostrani.
Tale necessità fu soddisfatta sostituendo le voci originali degli attori con quelle di straordinarie eccellenze del teatro e del cinema italiano. Nomi come Giulio Panicali, Miranda Bonansea, Lydia Simoneschi, Lauro Gazzolo, Tina Lattanzi e Gualtiero De Angelis forse potranno dire poco ai non appassionati, ma in questa generazione di fenomeni, tra le nostre voci eccellenti, figurarono anche Anna Magnani, Paolo Stoppa, Gino Cervi e lo stesso Alberto Sordi.
Nel corso dei decenni il doppiaggio ha subito notevoli innovazioni tecnologiche.
In particolare, come per il cinema, il passaggio dall’analogico al digitale ha permesso di condensare allo stremo i tempi di lavorazione, al punto che, probabilmente, laddove si sono guadagnate ore preziose, si è invece smarrito qualcos’altro, un po’ di quella magia che risiedeva proprio nei tempi lunghi e nelle lunghissime preparazioni. Quando si iniziava a lavorare al doppiaggio di un film, ci si preparava quasi come se se ne fosse dovuto girare uno di sana pianta. Era necessario fare così. Oggi, in poche, miracolose circostanze, è a malapena possibile farlo. Per molti motivi: perché il film deve uscire in contemporanea mondiale, perché «Nun ce stanno li $òrdi», perché la serie va in onda dopodomani, perché tanto «che ci vuole?»…
L’impressione è che si sia persa totalmente la cognizione di quanto sia importante il nostro lavoro, di come un buon doppiaggio possa addirittura salvare un attore o un intero film, e di come un cattivo doppiaggio possa invece rovinare anche prodotti eccellenti.
Per citare zio Ben Parker, «da grandi poteri derivano grandi responsabilità». I doppiatori hanno il potere di far recitare gli attori nella nostra lingua. Se solo si tornasse a rendersi conto di che razza di responsabilità questo comporta!
Il cinema e il doppiaggio sono strettamente collegati.
In Italia ma non solo in Italia (checché ne dicano molti detrattori poco informati). Oggi, con le sale che proiettano i film in versione originale, con l’opzione della doppia lingua sui vari canali televisivi e con i supporti digitali, il collegamento non è più inscindibile, il che è senz’altro un bene: per quanto l’edizione italiana possa essere curata e ben eseguita, se si vuole esaminare la recitazione dell’attore, è necessario vedere il film in lingua originale.
Benché anche i tanto celebrati sottotitoli siano uno strumento di mediazione culturale più che fallace per molti aspetti.
Nel passaggio di mediazione linguistica, a meno che non si padroneggi alla perfezione (e intendo davvero alla perfezione) la lingua parlata nel film, qualcosa inevitabilmente si perde. E ci sta, c’è poco da fare.
Molti sostengono che con il doppiaggio si finisca semplicemente per perdere troppo.
È un’opinione, per carità.
Molti altri, a questa opinione, aggiungono accorate invettive scomodando i termini “stupro”, “scandalo” e tutto un salace vocabolario inviperito.
È un’opinione anche questa.
Ma cari detrattori duri e puri, guai a voi se vi becco in libreria a comprarvi Dostoevskij, Gibran o Murakami in italiano!