Il volto di Athina Rachel Tsangari qualche cinefilo potrebbe ricordarlo, dal momento che interpreta Ariadni in Before Midnight di Richard Linklater (film di cui è anche co-produttrice). Il suo nome però è probabilmente sconosciuto ai più, nonostante questa donna determinata e creativa abbia dimostrato di avere un talento multiforme, capace di renderla una delle figure di spicco del panorama cinematografico greco.
UN TALENTO NON ABBASTANZA CELEBRATO, DA SEMPRE VICINO A LANTHIMOS
Dopo l’esordio come regista e sceneggiatrice nel 2000 con The Slow Business of Going (un’improbabile storia sulla memoria con protagonista una androide) e il ritorno a dieci anni di distanza con il bellissimo Attenberg (bizzarra parabola sull’incapacità di rapportarsi al mondo, che vedeva nel cast anche Yorgos Lanthimos), ora la Tsangari si mette di nuovo dietro la macchina da presa con il corrosivo Chevalier, confermando la sua predilezione per storie che si sottraggono alle maglie della convenzione, immaginando una riscrittura delle regole sociali.
A scrivere a quattro mani il film con la Tsangari c’è il geniale Efthymis Filippou (la cui mano è riconoscibilissima), uno dei più grandi autori del cinema contemporaneo nonché co-sceneggiatore di tutti i film di Yorgos Lanthimos. L’ennesimo legame della regista con il cineasta di The Lobster non deve però stupire, dato che la Greca ha alternato le sue sporadiche ma apprezzabili incursioni dietro la macchina da presa con una solida carriera da produttrice (producendo tutte le pellicole elleniche di Lanthimos)
UN SOGGETTO IN PERFETTO STILE EFTHYMIS FILIPPOU
Un gruppo di uomini è in alto mare su un lussuoso yatch per una breve vacanza. Un paio di giorni prima del rientro sulla terra ferma, partendo da uno sciocco pretesto, uno di loro ha un’idea: i protagonisti passeranno tutto il tempo che rimane loro su quella barca giudicando e votando ogni minimo aspetto del modo di essere dei propri compagni. Questo gruppo di rispettabili esponenti della borghesia greca si ritroverà quindi ad annotare e commentare, con crescente zelo, il modo in cui i compagni camminano, parlano, dormono, ma anche le capacità relazionali, le erezioni mattutine, le doti nel canto, il gusto nell’abbigliamento e la perizia nel fare le pulizie. Chi vincerà sarà l’uomo migliore, e potrà sfoggiare un anello chevalier in celebrazione della sua superiorità. Un gioco viepiù logorante che finirà sempre più per somigliare a un poco virile regolamento di conti, fino a un finale (questo sì) perfettamente maschile.
UNA STORIA DI SOLI UOMINI CHE RACCONTA LA PSICOLOGIA FEMMINILE
La macchina narrativa messa in scena dalla Tsangari non può non portare alla mente il maestro del surrealismo Luis Bruñuel, tanto nella dissacrante ma amara satira della borghesia quanto nel concept profondamente teatrale (l’isolamento in alto mare offre un pretesto narrativo perfetto per un setting quasi metafisico). La Tsangari non si affida però solo ai grandi maestri del cinema o al suo talentuoso cosceneggiatore, e nel mettere in scena una storia di soli uomini non rinuncia al fondamentale contributo del suo punto di vista femminile.
I livelli di lettura della pellicola sono molteplici, e tutti ugualmente interessanti. Con una buona dose di ironia, un’ottima gestione della tensione e un ritmo impeccabile, la Tsangari inizialmente sembra voler raccontare solamente una contesa machista per stabilire il maschio alfa; il classico comportamento competitivo degli uomini. Però più i pretesti di critica si fanno ridicoli e più la virilità diventa un fattore che perde di peso, sostituito da un’effeminatezza ai limiti dell’omosessualità (in tal senso è di snodo la scena in cui uno dei personaggi invita gli altri a verificare con mano la turgidità della sua erezione), che sfocia una volta in porto in un memorabile numero musicale. Un’evoluzione divertente ma tutt’altro che priva di significato, tanto da suggerire che il vero oggetto dello sguardo registico sia la psicologia femminile, in particolare nei casi nei quali a un’insicurezza di fondo si accompagnano una cordialità di facciata che cozza con i meccanismi sociali che costringono le donne a competere l’una con l’altra.
LA BORGHESIA E L’INNATISMO DELLA COMPETIZIONE
A fornire un ulteriore piano di lettura all’opera vi è poi la scelta di legare il racconto a un contesto prettamente alto-borghese; soluzione brillante che permette di sublimare anche a livello astratto quest’idea malata di competizione, proiettandola sulle relazioni geopolitiche come sulle grandi contese della storia. Una prospettiva che completa il significato del film, facendone a tutti gli effetti una parabola su quanto l’innato bisogno del confronto e della supremazia sia alla base dell’esperienza umana, con tutte le implicazioni grottesche che ciò comporta.
Pellicola non perfetta ma difficile da dimenticare, è stata disponibile in streaming per un breve periodo nell’ArteKino Festival ma probabilmente non troverà mai una distribuzione cinematografica o home video italiana (anche se probabilmente riuscirete a trovarlo con i sottotitoli inglesi). Un vero peccato, considerato che i lavori con delle donne dietro la macchina da presa sono sempre troppo pochi e che questo film in particolare ci ricorda come la rinnovata vivacità del cinema ellenico non dipenda dal solo Yorgos Lanthimos, per quanto da lui non possa prescindere.