Noriko è un’artista eccentrica e superba che mette in atto ogni tipo di vessazione e umiliazione nei confronti della sua assistente Kyoko, sottomessa quasi come se ne fosse ciecamente innamorata. I soprusi proseguono a lungo fino a quando tutto si blocca per ordine di un regista: la realtà è che Noriko si trova sul set di un film erotico mentre Kyoko è un’attrice affermata che la detesta a causa della sua incapacità nel recitare, tanto da iniziare a riempirla di insulti e mortificarla.
Antiporno è il contributo di Sion Sono al progetto lanciato dalla Nikkatsu per celebrare i Roman Porno che fecero la fortuna della casa di produzione giapponese in uno dei periodi di crisi più profondi del cinema nipponico, negli anni ’70. I Roman Porno erano un sottogenere del Pinku Eiga (o Pink Film), ma rispetto a questi godevano di un budget meno povero e di una maggiore cura realizzativa. La Nikkatsu dava totale libertà creativa ai registi, purché nell’ora standard di durata della pellicola inserissero almeno la minima quota prevista di nudità o scene di sesso non esplicito. Al progetto portato oggi avanti dalla Nikkatsu per celebrare la propria storia, al fianco della pellicola di Sion Sono, si sono aggiunti altri quattro lungometraggi di altrettanti registi, tra i quali figura anche Hideo Nakata, regista della pietra miliare del J-Horror Ringu (da noi occidentali conosciuto come The Ring).
Antiporno è al tempo stesso un omaggio e un ribaltamento degli stilemi del cinema erotico giapponese (il titolo è già di per sé un’evidente dichiarazione d’intenti), che il filmmaker utilizza come scheletro di un’opera che mira a ben altro. Dopotutto Sono non è mai stato un regista capace di rinchiudersi all’interno dei confini di un genere cinematografico ben preciso ma, al contrario, ha sempre tentato di piegare al proprio volere ogni tipo di cliché per veicolare messaggi e approfondire riflessioni personalissime, questo sin dai tempi in cui il suo nome ha cominciato ad emergere dall’underground con Suicide Club. Non è un caso quindi che Antiporno, nato come film-celebrazione del softcore, si riveli come la pellicola più dichiaratamente politica del regista. Sono sfrutta l’occasione di cimentarsi con un genere indirizzato ad un pubblico prettamente maschile per parlare di uno dei temi a lui più cari: la donna. Con questo intento Antiporno innesca un cortocircuito che va, in un certo senso, a sfidare i committenti della Nikkatsu.
Il cineasta mette in scena un dramma brevissimo ambientato quasi per intero in una sola stanza; una storia in cui Noriko tenta di forzare i vincoli che l’apparente libertà del sistema giapponese ha imposto alle donne, ma al contempo una messinscena nella quale appare evidente che quello della protagonista è solo un ruolo. Noriko è un’attrice che finge di essere libera quando interpreta il proprio personaggio sul set, ma nella realtà è solo una ragazzina insicura e succube di Kyoko e della troupe per cui lavora. Questo riporta ad un altro dei grandi argomenti del cinema di Sion Sono: il ruolo che ogni donna (e, più in generale, ogni persona) recita nella propria vita. Lo si era visto già con le famiglie in affitto di Noriko’s Dinner Table, con la doppia vita di Izumi in Guilty of Romance e con la disgregazione della personalità di Mitsuko in Tag. Ogni donna è costretta a recitare la propria vita, ma l’eros può in qualche modo liberarla dalle catene imposte dalla società.
In Antiporno tutte queste tematiche sono calate in un contesto decisamente più sperimentale del solito (siamo di fronte all’anello di congiunzione tra la sperimentazione pura di It’s Keiko e la schizofrenia di Tag), permettendo al regista di operare anche una riflessione sul cinema come mezzo. Nonostante la maestria indiscutibile e l’evidente divertimento di Sono dietro la cinepresa c’è però qualcosa che non funziona: innanzitutto lo spettatore viene sollevato dal compito di dover comprendere l’arco narrativo del film. È molto più complicato intuire ciò che sta succedendo sullo schermo rispetto al messaggio che l’opera vuole veicolare (Sion Sono ce lo grida in faccia ossessivamente attraverso le parole di Noriko e non capirlo è pressoché impossibile). Antiporno funziona quasi più come contenitore di trovate geniali e riflessioni taglienti che come un film vero e proprio: ogni scena nasconde sia scelte di regia meravigliose che riflessioni metacinematografiche possibili solo a chi la settima arte la vive intensamente, ma tali intuizioni, quando vengono messe insieme, finiscono per creare un lungometraggio dalla forma fin troppo evanescente e indefinita.
Sono crea il caos eliminando la trama (o quantomeno riducendola all’osso), tuttavia non riesce ad imbrigliare questa anarchia e a farla convergere verso una conclusione capace di rimettere in ordine le carte sul tavolo (come succedeva invece in Tag). Il risultato è un film che porta con sé un gran numero di spunti e messaggi però, rinunciando al supporto di una storyline solida, non riesce a dare forma a ciò che vuole esprimere, concludendosi con un finale che anziché mettere un punto esclamativo al dilemma si limita a lasciarlo in sospeso.
Antiporno è disponibile ancora per pochi giorni sul servizio di streaming per cinefili Mubi.