Era un Jean-Luc Godard furioso quello che imperversò davanti al National Film Theatre di Londra il 20 novembre 1968 per la prima assoluta del suo documentario Sympathy for the Devil. Tanto fuori di sé che, dopo la lite furibonda con il produttore Iain Quarrier, salì sul palco ed esortò il pubblico a boicottare il proprio film, non perdonando a Quarrel una doppia eresia: da una parte la sostituzione del titolo originale (originariamente One Plus One) per far leva sulla popolarità degli Stones, dall’altra un leggero rimaneggiamento della pellicola – sempre allo stesso scopo, dato che includeva ad esempio un’intera canzone della band sul finale. Anche per questo motivo ora la distribuzione in DVD e Blu-Ray del film diventa un’occasione imperdibile per collezionare un pezzo di storia del (contro)cinema godardiano, in un eccellente cofanetto Koch Media che contiene le due differenti versioni del documentario: Sympathy for the devil e One plus one, oltre al lungo documentario (45 minuti) Voices.
UN FILM DI ACCUMULAZIONI
Proprio il titolo originale, One Plus One, rende al meglio l’idea alla base dell’operazione politico-artistica di Godard, che utilizza la musica dei Rolling Stones, e in particolare la genesi in studio di Sympathy for the devil, per indagare la società, la cultura e i costumi della fine degli anni ‘60. Uno più uno, per un documentario fatto di accumulazioni: da una parte le registrazioni di Sympathy for the devil che si sovrappongono traccia su traccia, dall’altra cinque quadri che si intrecciano alla record session, e che richiamano a loro volta diverse raffigurazioni sociali e politiche: i militanti americani del Black Power che leggono Eldridge Cleaver (teorico delle Pantere Nere) e Jones Le Roi (studioso del blues), la signorina Eve Democracy (una rappresentazione della democrazia liberale inglese, interpretata dalla musa Anne Wiazemsky) in una simbolica e surreale intervista dove risponde semplicemente “sì” o “no”, una libreria porno e il suo proprietario antisemita, scritte sui muri, fra l’ironia e il proclama, e la lettura di un romanzo politico-erotico che immagina i coiti di Breznev. Questo accostamento visivo-sonoro è inseguito da Godard per generare un contrasto, una distorsione, un’onda d’urto che produce nuovo senso e nuovo significato. Lo stesso regista lo spiegherà bene successivamente: “il soggetto era questo: da un lato c’era One – cioè i Rolling Stones – e di fronte c’ero io. Questo faceva dunque One plus One. Uno più uno, che era un modo per cercare di fare due. Ma poi mi sono accorto, dopo, che fra due cose ci deve essere sempre un’altra cosa, cioè quel più o quel meno. Non è mai solo due; è tre o… È sempre tre.”
IL DOCUMENTO SUGLI STONES
Siamo dunque nella zona più antinarrativa e militante di Godard, che continua a percorrere il proprio filone autoriale di quegli anni inaugurato con La Cinese (1967): associazione di quadri, assenza di dialoghi, voce fuori campo, lunghi piani sequenza, proclami, citazioni, cortocircuito fra immagine e suoni. Anche per questo Sympathy for the devil/One plus one emerse all’epoca come un manifesto di una certa sinistra compiaciuta di metà anni Sessanta, accusato di pretenziosità e che non piacque soprattutto in Francia, dove Godard fu accusato di guardare altrove (la Swingin’ London e il rock degli Stones) mentre in patria i movimenti di protesta si preparavano al maggio parigino del 1968. Lo stesso filosofo situazionista Guy Debord fu severissimo: “un lavoro fatto da cretini, e Godard è il più cretino di tutti loro”. Ma se tutto l’armamentario ideologico con cui Godard infarcisce la pellicola diventa ancora più difficile da digerire cinquant’anni dopo, quest’opera invecchia benissimo se la consideriamo come un documento musicale che osserva il lavoro in studio dei Rolling Stones nel giugno del 1968 agli Olympic Sound Studios di Londra. Uno sguardo intimo e unico sulla nascita di Sympathy for the devil, che da canzone folk si trasforma lentamente in samba satanico sui mali dell’essere umano, in un crescendo progressivo di sessioni: dalla linea di basso e voce fino all’ultima traccia vocale inclusi i famosi cori (“Whoo Whoo”). Qui c’è Mick Jagger che gigioneggia cantando e fumando, c’è Keith Richards che crea l’assolo alla chitarra elettrica ma che vediamo anche al basso (Wyman era impegnato alle maracas) e c’è perfino un inquietante Brian Jones che pare già fuori dal gruppo, catturato in disparte, isolato e escluso, che suona la chitarra folk per la traccia di accompagnamento. Jones morirà poco dopo la pubblicazione di Sympathy for the devil e mentre nella versione finale del brano la sua traccia acustica non è presente, la stessa può essere ascoltata nel film di Godard grazie ai microfoni della troupe: un prezioso e involontario regalo del regista francese ai cultori del rock.