Quando la prima stagione di The Crown è stata accolta straordinariamente bene da pubblico e critica e ha collezionato impressionanti riconoscimenti nel contesto dei premi più autorevoli, per Netflix è stato chiaro che il progetto avrebbe avuto ancora vita lunga. Quando però si confeziona una serie biografica, si deve mettere in conto che un’attrice trentenne non potrà interpretare la protagonista per tutto l’arco narrativo (che coprirà 60 episodi in 6 stagioni complessive), e così con la riconferma pubblica di un prosieguo dello show – ma la produzione era già iniziata da tempo – è arrivato l’annuncio che questa sarebbe stata l’ultima stagione con Claire Foy nei panni della Regina.
UNA SERIE CHE NON HA PAURA DI EVOLVERSI
In attesa che al suo posto subentri l’altrettanto talentuosa Olivia Colman di Broadchurch, possiamo fare un bilancio sul secondo ciclo della serie britannica, che già nella prima stagione si era distinta come il più costoso show televisivo di sempre (130 milioni di dollari di investimento). Se buona parte della stagione introduttiva è servita a presentare il contesto della narrazione e a farci familiarizzare con i personaggi, con il ritorno di The Crown lo showrunner Peter Morgan (L’Ultimo Re di Scozia, Frost/Nixon, The Queen, Rush) ha potuto lavorare maggiormente con le dinamiche dei comprimari, alzando così la posta emotiva del prodotto.
L’idea alla base della serie è sempre quella di un ibrido tra bio-pic e racconto storico, poiché il doppio binario su cui si sviluppano le figure pubbliche e le vite private permette di passare con grazia e fluidità dalle grandi questioni storiche alle beghe da camera da letto. Stavolta però è più incisiva la componente di dramma sentimentale, e così la struttura del racconto tiene incollati sin dalle primissime scene, grazie alla scelta di aprire con un flash forward che farà vivere le prime puntate in funzione di uno sviluppo narrativo che sappiamo inevitabile.
Se i palazzi del potere sono ritratti con sempre maggiore pomposità (frequente il ricorso al crane nei corridoi di Buckingham Palace), la messinscena dei turbamenti privati si fa molto più intima e finisce per diventare una parte preponderante della stagione, soprattutto nella sua prima metà.
LE TEMATICHE RICORRENTI E L’IMPORTANZA DELLE DONNE
Il rapporto sincero e profondo ma conflittuale, freddo e sbilanciato tra la Regina Elizabetta II e Filippo, Duca di Edinburgo, diventa così il focus principale di questo secondo ciclo, mentre il tema del rapporto di coppia si riverbera anche sulla vita della Principessa Margaret con il suo nuovo interesse sentimentale Tony Armstrong-Jones e addirittura sulla coppia presidenziale statunitense, formata da John F. Kennedy e dalla first lady Jacqueline.
Se nella prima stagione gli sceneggiatori si erano mossi con particolare cautela nel tratteggiare virtù e (soprattutto) vizi dei personaggi, ora, forti del successo ottenuto, si sento evidentemente più liberi di calcare la mano su tradimenti, meschinità e dipendenze. È così che Morgan riesce a costruire ancora più efficacemente l’empatia soprattutto verso la sua protagonista, la cui vicenda diventa paradigmatica di quella di molte donne. Seppur venga trattato con intelligenza il tema dell’incomunicabilità (che ci regala una memorabile metafora nella telefonata tra la Regina e il marito, quando questi è in Nuova Guinea), quello su cui sembra che lo showrunner voglia principalmente accentrare l’attenzione è il tema del maschilismo della società britannica dell’epoca (e non solo): l’autore sembra dirci che puoi essere la donna più importante e autorevole del mondo, ma ci sarà sempre un uomo che eserciterà egoisticamente il proprio potere contro di te.
La questione di una cultura maschile che di certo non si poneva il problema del rispetto della donna è un altro dei fil rouge di The Crown 2, che se trova nel rapporto tra i protagonisti principali la sua espressione più toccante, non risparmia le figure di contorno. Il tema della mascolinità viene però declinato anche secondo percorsi più focalizzati al legame padre-figlio, rendendo giustizia al character di Filippo e al contempo iniziando a preparare il terreno per il Carlo che conosceremo meglio nella prossima stagione.
GRANDI INTERPRETI PER UNA STAGIONE IMPECCABILE
A rendere credibile ed emozionante The Crown 2 non c’è solo una realizzazione tecnica inappuntabile, ma la straordinaria solidità del cast, che pur avendo lasciato indietro il maiuscolo John Lithgow non manca di proporre nuovi talenti. Tra i volti più noti della seconda stagione, impossibile non citare l’amatissimo Michael C. Hall di Dexter e il Matthew Goode di Watchmen, Stoker e The Imitation Game.
La stagione numero due della serie risulta perfettamente centrata e riuscita, riuscendo non solo a confermare i pregi già assodati nella prima, ma anche ad espandere la dinamica narrativa e a consolidarsi tanto nell’emozione quanto nella narrazione storica. Se buona parte degli episodi sono mirati a trasportarci nell’intimo dei protagonisti, con l’avvicinarsi del finale non mancano momenti fondamentali per l’Inghilterra tutta, come l’influenza del I Barone di Altrincham sulla Corona o gli scandali legati alla figura di Edoardo VIII Duca di Windsor. Una conferma più che gradita di come The Crown sia uno dei titoli più importanti nell’offerta del web service di Los Gatos, e di quanto la sua ricetta sia ormai matura e rodata.