Il nome di Martin McDonagh non è certo il più popolare di Hollywood, ma state certi che dopo Tre Manifesti a Ebbing, Missouri lo sentirete nominare sempre più di frequente. Questo perché il suo film (che abbiamo avuto la fortuna di vedere in anteprima in settembre a Venezia 74) è una pellicola di straordinaria grandezza, capace di esprimere pienamente l’idea di cinema che abbiamo già visto nelle precedenti opere del regista (7 psicopatici, In Bruges) e di elevarla oltre ogni aspettativa, portandola al paro della produzione teatrale di McDonagh. A conferma dell’importanza della pellicola, il suo straordinario successo ai 75° Golden Globe, dove ha vinto ben 4 statuette: , miglior film drammatico, miglior attrice protagonista in un film drammatico, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura.
IL RUOLO DELLA VITA PER FRANCES McDORMAND
Mildred (una Frances McDormand inarrivabile, sicura candidata agli Oscar) decide di acquistare per un anno tre grandi spazi pubblicitari (i tre cartelloni del titolo) sui quali lanciare un messaggio di sfida allo sceriffo Willoughby (un commovente Woody Harrelson). La polizia locale viene accusata di non aver saputo risolvere un grave crimine consumatosi proprio nei pressi di quei cartelloni, e nonostante lo sforzo del violento ufficiale Dixon (il poliedrico e bravissimo Sam Rockwell) di mettere tutto a tacere, viene a crearsi un piccolo caso mediatico che metterà in moto la macchina narrativa e costringerà ognuna delle parti in causa a fare i conti con le proprie responsabilità.
McDONAGH, UN GRANDE COMMEDIOGRAFO TEATRALE CHE NON SBAGLIA UN FILM
Martin McDonagh, che firma la regia quanto la sceneggiatura di Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, con la sua terza opera rivendica una mano riconoscibilissima (anche se in questo caso molto debitrice al cinema dei fratelli Joel e Ethan Coen) e si conferma un autore a tutti gli effetti; uno di quei nomi con cui i cinefili di tutto il mondo dovranno fare i conti d’ora in avanti. McDonagh non è certo un dilettante, e con le proprie pièce ha avuto un tale successo da arrivare ad esser considerato uno dei più importanti commediografi del teatro Irlandese.
Da quando poi è approdato alla settima arte, non ha sbagliato un colpo. Il suo esordio con In Bruges (2008), black comedy su due killer in fuga con Colin Farrell, Brendan Gleeson e Raplh Fiennes, ha stupito per l’inusuale sbilanciamento del lato crime su quello comedy e il successivo 7 Psicopatici (2012), con il suo cast semplicemente mozzafiato, ha una matrice teatrale capace di renderlo una delle pellicole più inusuali e sorprendenti degli ultimi anni. Ora, a cinque anni di distanza dal suo ultimo folgorante lavoro, Tre Manifesti a Ebbing, Missouri si presenta come la sua opera più compatta, matura ed emozionante.
UN’ALTALENA DI EMOZIONI INTENSISSIME E UNA RIFLESSIONE SULLA GIUSTIZIA
Senza entrare nel dettaglio nella trama, possiamo dirvi che l’aspetto che colpisce più di ogni altro in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è la capacità del film di lanciare lo spettatore verso le risate più spensierate e farlo poi immediatamente sprofondare nell’emozione più commovente; questo ripetutamente e inaspettatamente durante le quasi due ore di durata (che passeranno in un baleno).
Quella di alternare dramma e commedia nella stessa pellicola (abbracciandone gli eccessi più di quanto conceda una comune dramedy) è una tendenza che ha decretato il successo di molti registi e sceneggiatori di culto (basti pensare ad autori cult come Wes Anderson o i Coen), e ormai è diventata la ricetta magica per molti prodotti della serialità televisiva (sfociando nell’animazione artistica di BoJack Horseman).
Quando si cerca di far coesistere pianto e risata si cerca sempre di muoversi lungo un confine sottile, con toni delicati e solo occasionalmente calcando la mano. McDonagh invece sceglie una strada opposta e, pur riuscendo a conseguire un equilibrio e una coesione d’insieme perfetti, non ha paura di mettere in scena gli estremi della vita, che – proprio come accade nell’esperienza umana – si susseguono e sovrappongono caoticamente e al di fuori del nostro controllo. Questa corsa sulle montagne russe della drammaturgia del regista non solo intrattiene ed emoziona, ma riesce a trasmettere quella stessa imperscrutabile poetica dell’esistenza che permette a ogni protagonista del film di trovare a suo modo un riscatto, un superamento, il cambiamento.
Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è Cinema vero, completo, di quello capace di avere una profonda dimensione artistica e al compenso di essere accessibile alle masse. Una riflessione su cosa sia la giustizia e sul diritto naturale, ma anche un ritratto ironico, amaro e ispirato delle vite umane come monadi impazzite. Forse il miglior film del Festival di Venezia 2017, e sicuramente la consacrazione per un Martin McDonagh che rivendica la propria grandezza autoriale. Imperdibile. Il film sarà in sala dall’11 gennaio su distribuzione 20th Century Fox e, se volete evitare spoiler, non guardate il trailer.