La Linea Verticale è la serie che segna il ritorno in qualità di sceneggiatore e regista di Mattia Torre, apprezzatissimo autore di Boris, Boris – Il Film, Ogni Maledetto Natale (dei quali è stato anche regista) e Dov’è Mario?, ma anche commediografo teatrale di successo, scrittore e autore televisivo. 8 episodi della durata di 25 minuti che sono già disponibili online su RaiPlay e che andranno in onda, distribuiti in quattro prime serate, dal 13 gennaio su Rai3.
La Linea Verticale è una dramedy ospedaliera incentrata su un reparto di urologia oncologica, che mette al centro di una narrazione corale Luigi (Valerio Mastandrea), paziente in procinto di sottoporsi a un delicato intervento chirurgico. È il suo sguardo che ci accompagnerà alla scoperta di una realtà fatta di paura, risate e tristezza, nella quale il garbo e l’intelligenza di un autore che ha conosciuto la malattia sulla propria pelle (è una storia autobiografica) si accompagnano alla sua sagace ironia.
Le vicende si svolgono tutte in un ambiente ristretto, sempre identico a se stesso ma destinato a ospitare vite e storie sempre diverse, secondo una matrice fortemente teatrale da cui traspare la vocazione di Torre. Nel cast anche altri volti particolarmente noti, da quello di Greta Scarano (Suburra, Smetto Quando Voglio: Masterclass e Ad Honorem) a quelli di diversi grandi interpreti televisivi e non, veterani proprio di Boris (Giorgio Tirabassi, Ninni Bruschetta, Antonio Catania, Paolo Calabresi), e mantiene a tratti il tono surreale tipico di Torre, pur esplorando tematiche non facili; un prodotto seriale sorprendentemente lieve ma tutt’altro che superficiale.
La narrazione di La Linea Verticale si svincola dalle convenzioni di confezione del formato (si arriva anche all’abbattimento della quarta parete), dandosi di volta in volta regole diverse rispetto alla scrittura da manuale, e passando agevolmente in un caleidoscopio di varia umanità: da un ristoratore con una conoscenza medica enciclopedica a un prete in crisi di fede, da un iraniano con idee radicali a un intellettuale laconico passando per gli anziani esasperati; tutte presenze più o meno di passaggio, attorno alle quali va in scena il microcosmo del reparto, con le sue gerarchie interne e un alternarsi di personalismi, eccentricità, professionalità e umana empatia.
Il personaggio di Valerio Mastandrea ci rimane sfuggente nei suoi contorni, anche se è evidente come cerchi figure di riferimento per affrontare un percorso in cui nessuno vorrebbe ritrovarsi. La performance dell’attore romano basterebbe da sola a reggere lo show, ma è fortunatamente calata in un contesto di grandi talenti che fanno a gara per ritrarre nel modo più vivo e naturale possibile caratteri a volte esilaranti e a modo loro poetici, ed è così che un’esperienza inauspicabile e triste come la malattia viene privata dei toni gravi e misurata – passando anche per la commedia – sulla bilancia agrodolce della vita, diventando anche occasione di crescita e riscatto.
Un’operazione perfettamente riuscita che indica la direzione a una Rai generalmente incline a riprodurre pigramente i propri consunti modelli generalisti, e che qui invece trova nei contenuti, nel tono, nel format e addirittura nella distribuzione una freschezza insperata. Un prodotto di qualità, che può anche essere consumato con un avido binge watching da poco più di tre ore e che ci ricorda quanto poco basterebbe per riportare il servizio pubblico al passo con i tempi e i gusti degli spettatori. Lode alla rete di Coletta, anche se uno show del genere meriterebbe gli slot più importanti dell’ammiraglia.