Shenzhen è una città-centro commerciale al sud della Cina, al confine con Hong Kong. Al suo interno c’è Dafen, più che un quartiere, una città nella città; i cui abitanti, a partire dagli anni Novanta ad oggi, si sono moltiplicati e sono arrivati a diecimila unità. Ma non sono abitanti comuni: gli abitanti di Dafen sono contadini che nel corso degli anni hanno lasciato le zone rurali della Cina e si sono stabilitì lì perché in quel luogo è nata un’attività singolare che ha avuto un’espansione straordinaria e probabilmente inattesa: la riproduzione dei quadri di Van Gogh poi venduti nel mercato europeo, in particolare quello dei Paesi Bassi. Il prodotto interno lordo di questa attività ha ormai sfiorato la sorprendente cifra di 100 milioni di dollari l’anno.
La macchina da presa di Haibo Yu e Tiangi Kiki Yu con il loro docufilm Alla Ricerca di Van Gogh (titolo originale China’s Van Goghs), proiettato al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 e appena uscito in home video Wanted Cinema distribuito da CG Entertinment, ci porta all’interno dei laboratori dove nascono le improbabili “opere” che approdano per lo più nei negozi di souvenir di Amsterdam, dove non è raro che alcuni esercenti si spaccino anche per galleristi. I due registi seguono il percorso di Zhao Xiaoyon e della sua famiglia.
Zhao Xiaoyon è arrivato a Dafen nel 1996 e da allora non ha fatto altro che dipingere quadri di Van Gogh. Il suo è anche il percorso di un’attività che negli ultimi venti anni ha avuto un exploit, un vero e proprio processo di industrializzazione. Lui stesso è proprietario di un avviato laboratorio dove lavorano altri “operai” di lungo corso e apprendisti che riproducono una media di settecento quadri al mese di varie dimensioni. Tutti hanno in comune due cose: conoscere le opere solo dai libri e i desiderio di vederle dal vivo.
Zhao Xiaoyon riesce a fare un viaggio in Europa e in particolare ad Amsterdam, dove oltre a conoscere personalmente i suoi clienti e committenti, ha la possibilità di vedere dal vivo i veri quadri di Van Gogh. È qui che, forse per la prima volta, prende coscienza di quanto quella che si produce a Dafen non sia propriamente arte e di quanto questo mercato sfrutti dal punto di vista economico lui stesso e, soprattutto, i suoi e gli altri operai cinesi di questo settore.
Alla Ricerca di Van Gogh ci offre essenzialmente due piani di lettura. Il primo è rappresentato dalla finestra che i registi aprono su un segmento della realtà socioeconomica cinese, ma anche sull’ipocrisia europea rispetto a quella che – in questo caso a buon titolo – si potrebbe definire “l’arte” del falso cinese: un fenomeno che a parole viene fatto bersaglio di critiche feroci ma da cui poi, nei fatti, gli stessi europei traggono vantaggi economici; una vera e propria industria della contraffazione cui si accompagna anche la questione delle drammatiche condizioni lavorative e salariali, e che impatta direttamente sulle esistenze delle nuove generazioni nella misura in cui ne assorbe prospettive e vite sin dalla più giovane età, allontanandole dalla scuola.
Il secondo piano di lettura offerto dal documentario è quello prettamente culturale e intimo, legato a tutti quegli Zhao Xiaoyon che, mossi da una sorta di “magnifica ossessione” verso Van Gogh, non hanno rinunciato alle proprie velleità artistiche pur essendo coscienti della propria condizione. Da qui la riflessione sull’arte che in qualche modo fa capolino nel film, prende lo spunto dalle sensibilità, dai desideri, dalle aspirazioni, dai progetti e dai sogni personali, fino a diventare un concetto assoluto quando, ammirando le opere originali, si ha la consapevolezza della propria povertà creativa e artistica. Ma sarà proprio da questa consapevolezza che, per la prima volta, Zhao Xiaoyon sentirà il bisogno di dipingere un quadro tutto suo. “Chissà – pensa – che fra cinquanta o cento anni non venga apprezzato da qualcuno”.
Dal punto di vista tecnico il film è bello, va detto con estrema chiarezza. È un film “sincero”, onesto, ben girato, scritto e montato benissimo. Una particolare nota di merito alla fotografia che lo rende ancora più attraente, nonostante l’argomento possa sembrare ostico. Gli stacchi tra una città che pulsa, rappresentata dallo sfrecciare della metropolitana, dal traffico e dai grattacieli-dormitorio, e la vita dentro i laboratori dei lavoratori è un tocco di grande cinema. Infine la visione collettiva del film Brama di vivere di Vincente Minnelli da parte di Zhao Xiaoyon, della sua famiglia e dei suoi collaboratori, è una chicca imperdibile.