UPDATE: Chiamami Col Tuo Nome è arrivato in home video Sony su distribuzione Universal Pictures Home Entertainment, in un’edizione estremamente curata e ricca di contenuti speciali. Tra gli extra: Istantanee dall’Italia: la realizzazione di Chiamami Col Tuo Nome, Una conversazione con Arnie Hammer, Timothée Chalamet, Michael Stuhlbarg e Luca Guadagnino, Commento con Timothée Chalamet e Michael Stuhlbarg.
Quando Chiamami Col Tuo Nome (già conosciuto in tutto il mondo come Call Me By Your Name) arriverà nelle nostre sale il 25 gennaio, saranno passati più di dodici mesi dalla sua presentazione al Sundance Film Festival; 12 mesi nei quali la pellicola – già distribuita da Sony sul mercato statunitense e in altri mercati esteri – ha collezionato un palmarès a dir poco straordinario, e con esso consensi pressoché unanimi (basti pensare che Paul Thomas Anderson l’ha definito «il miglior film dell’anno»).
Quando un anno fa i dirigenti Sony hanno notato l’accoglienza riservata a Salt Lake City alla pellicola, hanno immediatamente capito che l’ultimo film del regista italiano Luca Guadagnino sarebbe stato un cavallo su cui puntare per la lunga stagione dei premi, ed è proprio per questo stesso motivo che Warner (distributore delle pellicole Sony per l’Italia) decide di portare il film nelle sale italiane con così tanto ritardo: la release italiana si sovrapporrà infatti alla cerimonia di premiazione degli Oscar, alla quale Chiamami Col Tuo Nome sarà presente in concorso con ben quattro nomination (miglior film, miglior sceneggiatura non originale, miglior attore protagonista e miglior canzone originale).
In attesa della tanta agognata uscita nei nostri cinema non rimane quindi che ragionare su cosa renda così speciale questo film diretto da un regista italiano da sempre tanto celebrato all’estero quanto colpevolmente ignorato in casa nostra, partendo ovviamente dalla storia del film.
UN’ATTRAZIONE SENZA STEREOTIPI, NEL CUORE DELL’ITALIA DEGLI ANNI ’80
1983. Come ogni anno, la famiglia Perlman si rifugia in una villa nel nord Italia per trascorrere i mesi estivi. Mentre il figlio diciassettenne Elio (Timothée Chalamet) si esercita al piano e compone musica, la madre (Amira Casar) si dedica al giardinaggio e il padre (Michael Stuhlbarg) aiuta uno dei suoi studenti nella stesura della tesi di dottorato.
Le giornate sembrano trascorrere tranquille tra l’afa e l’ozio, ma il giovane Elio ancora non sa che l’arrivo dello studente ventiquattrenne Oliver (Armie Hammer) cambierà profondamente la sua estate, ma anche la sua vita.
LA GENESI TRAVAGLIATA E L’EQUILIBRIO PERFETTO
Era il 2007 quando i produttori Peter Spears e Howard Rosenman entrarono in possesso della bozza del primo romanzo di André Aciman e ne acquistarono i diritti ancora prima che venisse pubblicato. Da allora, nel corso di una pre-produzione lunga e difficoltosa, sono molti i cambiamenti ai quali è stato sottoposto lo script (che nella versione iniziale era ricco di scene di nudo e molto più costoso da girare), così come tortuoso è stato il percorso che ha portato alla scelta definitiva di Guadagnino di dirigere il film (dopo un suo rifiuto iniziale, cui è seguito anche un rifiuto della regia da parte di Gabriele Muccino e il parere contrario dei produttori per una regia a quattro mani con James Ivory). Senza questa lunga gestazione però il film probabilmente non sarebbe riuscito a trovare l’equilibrio perfetto che ne caratterizza script e tono, e che è il suo primo vero punto di forza.
Chiamami Col Tuo Nome è un film fatto di corpi e di attese: dai corpi scolpiti dell’arte ellenica studiata dal Professor Perlman e Oliver fino a quelli dei due protagonisti, che tra un bagno in piscina e l’altro si guardano da lontano, si cercano, si sfiorano e infine si abbandonano ad una passione travolgente. E se lo spettatore riesce a percepire sulla sua pelle la sensualità e la potenza della situazione, è merito non solo delle magistrali interpretazioni di Chalamet e Hammer, ma anche del linguaggio registico pulito e impeccabile di Luca Guadagnino, che con la macchina da presa offre un punto d’osservazione privilegiato ma mai invasivo sull’evoluzione dei sentimenti provati da Elio e Oliver.
La sceneggiatura di James Ivory (la cui visione è stata in parte modificata da Guadagnino, che comunque non risulta accreditato come co-sceneggiatore) è un insieme di parole non dette e tanti sguardi rubati che scava con discrezione nei personaggi senza imprigionarli in nessuno stereotipo. La fusione tra lo script ‘minimalista’ e lo stile elegante del regista si mostra in tutta la sua magnificenza nella scena più importante della storia, quando un lungo piano sequenza porta i due protagonisti a trovarsi faccia a faccia, quasi costretti dalla tensione creata intorno a loro a confessare – seppur in modo indiretto – la reciproca attrazione.
Tanta emozione quindi, ma dosata da un uso estremamente consapevole del mezzo filmico, in cui Guadagnino è coadiuvato dalla fotografia delicata del thailandese Sayombhu Mukdeeprom, dal montaggio scorrevolissimo del fidato Walter Fasano, dai costumi curati nel minimo dettaglio di Giulia Piersanti e dalle scenografie di Samuel Deshors: un cast tecnico capace di garantire un’atmosfera ammaliante e coinvolgente sin dal primo minuto (complici anche le canzoni scritte per il film dal cantautore statunitense Sufjan Stevens).
L’identità forte di Chiamami Col Tuo Nome risiede probabilmente nella sua straordinaria capacità di trattare l’omosessualità senza nessun vizio retorico, dipingendo una storia d’amore tra due uomini con la stessa naturalezza con cui si racconterebbe un rapporto etero. Il genere e le preferenze sessuali, in tal senso, non sono fondamentali nel definire la storia: al posto dei soliti contriti moralismi troviamo solo un amore vibrante e sincero, e soprattutto – il commovente monologo finale di un maiuscolo Michael Stuhlbarg lo conferma – un messaggio legato al coraggio di affrontare la vita di petto e di vivere senza paura le proprie emozioni. Senza il certosino lavoro di messinscena operato dalla squadra diretta da Guadagnino, questo equilibrio quasi miracoloso sarebbe stato impossibile.
UNA STORIA CHE SI INSERISCE PERFETTAMENTE NELLA FILMOGRAFIA DI GUADAGNINO
Se spesso ci si ritrova a storcere il naso di fronte alla trasposizione di un romanzo, con Chiamami col Tuo Nome questo non succede, nemmeno per un attimo. L’opera non solo esce vincitrice dall’impresa dell’adattamento cinematografico, ma lo fa sfatando il luogo comune secondo cui “il libro è meglio del film”. Pellicola e romanzo si trovano infatti sullo stesso piano, e non perché le immagini riproducano alla perfezione ciò che Aciman ha scritto, ma perché Guadagnino è riuscito a cogliere la vera essenza del racconto, rendendo superflua la rincorsa ai dettagli.
E così, alla sceneggiatura di James Ivory il regista ha applicato dei cambiamenti che hanno avvicinato lo script ad una sua personalissima visione della storia, oltre che alla sua filmografia, senza rinunciare anche a chiari rimandi ai maestri che lo hanno ispirato, da Bertolucci a Rohmer. Chiamami col Tuo Nome rappresenta infatti l’ultimo capitolo dell’ideale trilogia del desiderio firmata dal regista (dopo Io sono l’amore e A bigger splash) e qui ritroviamo dinamiche e personaggi molto simili a quelli dei due capitoli precedenti, dove la borghesia cosmopolita si ritrovava a pensare alla vita rifugiata in luoghi lontani. Luoghi che in questo caso Guadagnino ha deciso di sostituire con quelli in cui vive quotidianamente: alla Riviera Ligure del romanzo subentra allora la Pianura Padana, con le vie di Città Alta a Bergamo, Crema e la campagna circostante. Dalla sceneggiatura di Ivory inoltre il regista ha deciso di eliminare numerose scene di nudo integrale (a rischio anche la scena già cult nel romanzo che ha per protagonista una pesca) e anche la narrazione fuori campo, decidendo di raccontare i fatti non come un ricordo di Elio come nelle pagine di Aciman, ma come appartenenti al presente cinematografico.
E poi c’è l’Italia, che non fa solo da sfondo ma la si respira in ogni fotogramma; ci sono i monumenti in piazza in memoria dei caduti, i pensionati chiusi nei bar a giocare a carte, il dialetto, i discorsi politici dopo pranzo – il 1987 letterario è stato sostituito dal 1983 così da inserire il contesto politico italiano di Bettino Craxi e del Pentapartito – e nelle radio risuonano le canzoni di Battiato e della Bertè.
UN PUNTO DI SVOLTA NELLA CARRIERA DEL REGISTA
Dal suo debutto festivaliero, la corsa di Call Me By Your Name non ha mai subito battute d’arresto, e anche solo la candidatura nella categoria Miglior Film lo fa entrare di diritto nella storia del cinema italiano (non accadeva che un regista di casa nostra concorresse per l’Oscar più ambito dal 1999, con La Vita È Bella). A prescindere da come si concluderà la stagione dei premi, quel che è certo è che riscuotendo un consenso pressoché unanime di pubblico e critica Guadagnino ha conosciuto la definitiva consacrazione (non a caso lo abbiamo incluso nella nostra classifica dei cineasti per cui il 2017 ha rappresentato una svolta).
In attesa di saperne di più sul suo Suspiria e di scoprire poi se il suo progetto di girare dei sequel della storia (le ultime 40 pagine del romanzo raccontano le vite di Elio e Oliver nell’arco di 20 anni) andrà a buon fine, potrete trovare il film nelle sale a partire dal 25 gennaio su distribuzione Sony/Warner Bros.