Maze Runner: La Rivelazione (in originale Maze Runner: The Death Cure), nelle sale italiane dal 1 febbraio, conferma – complice una maggiore dose di prevedibilità e la lentezza di alcune scene – l’episodio iniziale Maze Runner: Il Labirinto come miglior film della trilogia. Firmata da Wes Ball, e distribuita dalla 20th Century Fox, la pellicola è l’adattamento cinematografico del romanzo La Rivelazione – Maze Runner (2011) di James Dashner.
Nei suoi lunghissimi 142 minuti, il capitolo finale di una delle ultime saghe young adult risponde a tutti gli interrogativi sollevati precedentemente, senza riuscire però a presentare le soluzioni come “rivelazioni”: non nascondendo accuratamente gli indizi, il film rende infatti gli sviluppi di trama piuttosto intuibili agli occhi dello spettatore più smaliziato.
Thomas (Dylan O’Brien) e Newt (Thomas Brodie Sangster, che ci offre una performace ragguardevole) sono sulle tracce di Minho (Ki Hong Lee), catturato al termine di Maze Runner: La Fuga: le ricerche sono lunghe e per molto tempo infruttuose. L’amicizia, così centrale nella trilogia da far mormorare di bromance tra molti dei personaggi, è la forza motrice che spinge i ragazzi sempre più lontano, fin nella tana del nemico, pur di salvare Minho. I colpi di scena, poco incisivi per quel che riguarda il disvelamento del mistero della storia, riescono pienamente in altri ambiti: sarà infatti un personaggio inaspettato a guidare i protagonisti nel quartier generale di Wicked. Una città ancora al riparo dal virus mortale che si è abbattuto sull’umanità. Quella che inizialmente era la missione di salvataggio di un solo uomo si trasforma nella guerra per liberare tutti i ragazzi prigionieri, le cavie, custodi del segreto dell’immunità. Alleanze, scelte e scontri si succedono in sequenze a volte troppo lunghe, che in certe circostanze mirano più alla spettacolarizzazione della scena che alla coerenza della trama: piani impossibili, salvataggi improbabili e risvolti inverosimili, il tutto condito da alcuni buchi nella sceneggiatura che rendono poco comprensibili alcuni passaggi.
La pellicola non lesina tuttavia scelte forti e coerenti adii di personaggi amati, senza annullarsi del tutto in una banale storia adolescenziale, e – rinunciando ad un allettante fanservice – regala agli spettatori sequenze molto dense emotivamente.
Pregevole la presenza di molteplici sfumature di grigi nei caratteri dei protagonisti, lontani, almeno alcuni di essi, dalla dicotomia buono-cattivo che era emersa nei film precedenti. Pur riproponendo la simbologia centrale dello scontro tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi (una divisione nettissima che vede la maggior parte dei villain con le rughe e gli eroi imberbi), Maze Runner: La Rivelazione presenta alcuni guizzi di tridimensionalità e si allontana dalla stereotipizzazione. Le scelte sono controverse, le decisioni ambigue, le personalità sfumate, e alcune azioni ribaltano quasi completamente l’idea che lo spettatore aveva maturato di un certo personaggio, portandolo a rivalutare con occhio critico la validità di alcuni comportamenti che apparentemente sono corretti, ma che sostanzialmente potrebbero essere discutibili, proseguendo sulla strada imboccata con la presa di posizione di Teresa (Kaya Scodelario) al termine di Maze Runner: La Fuga.
L’ambiguità delle questioni proposte porta lo spettatore giovane a provare sentimenti confusi e contraddittori verso i personaggi, e quello più adulto a riflettere sui temi che emergono tra le righe della sceneggiatura, temi con cui però i protagonisti non si scontrano mai: l’eticità della scienza, l’eterno scontro tra il bene del singolo e della collettività, la maggiore importanza del fine o dei mezzi, l’umanità davanti a una sola vita. Azione, fughe, inseguimenti: la dinamicità della pellicola fa in parte perdere profondità a uno script dotato di enormi potenzialità.