Adam Sandler è reduce dall’indie autoriale di Noah Baumbach, che con il suo The Meyerowitz Stories ha meritato di essere in concorso a Cannes 70, ma il suo nome è spesso stato sinonimo di commedie demenziali disprezzate dalla critica – e sovente amate dal pubblico. La carriera di Sandler è però anche ricca di film in cui alla comicità demenziale si sono accompagnate una sensibilità e una malinconia inedite per il genere (50 Volte Il Primo Bacio, Cambia La Tua Vita In Un Click, Mr Cobbler e la Bottega Magica, Big Daddy), e vanta pure un’incursione drammatica di tutto rispetto con il meraviglioso Ubriaco d’Amore di Paul Thomas Anderson. È proprio il Sandler migliore che ritroviamo in Reign Over Me, capace di portare in scena l’eccessivo infantilismo tipico dei suoi personaggi eppure di arricchirlo di una dimensione drammatica che solo gli attori più solidi sanno garantire.
QUANDO LE DISTRAZIONI SERVONO A ESORCIZZARE IL DOLORE
Alan Johnson (Don Cheadle) è un dentista di successo, con una bella moglie e due figlie affettuose: non fosse per qualche rapporto difficile con i colleghi, la sua vita potrebbe dirsi perfetta. Una situazione molto diversa da quella di Charlie Fineman (Adam Sandler), ex compagno di studi appena rincontrato per caso dopo anni, che con il suo comportamento immaturo, impulsivo, giocoso e quasi adolescenziale, travolge come un ciclone la vita di Alan, quasi distraendolo dai suoi doveri di padre e marito.
Il carattere vulcanico di Charlie nasconde però un’amara realtà: un terribile trauma ha sconvolto la sua vita, e tutte quelle distrazioni che insegue voracemente sono solo un modo per fuggire da un dolore che cerca di rimuovere ed elaborare. Starà al vecchio amico cercare di aiutarlo ad affrontare i suoi demoni, anche grazie all’aiuto di una giovane psicologa (Liv Tyler), per poi scoprire che Charlie ha bisogno di lui quanto lui di Charlie.
ADAM SANDLER MOSTRA TUTTO IL SUO TALENTO
Reign Over Me, disponibile ora in blu-ray e DVD grazie a Sony Pictures su distribuzione CG Entertainment, prende in prestito dalla commedia classica non solo le ambientazioni, le strade e gli appartamenti dei newyorkesi benestanti, ma anche uno dei suoi volti più conosciuti. Adam Sandler, noto al grande pubblico per i suoi ruoli – non sempre memorabili – tra il comico, il romantico e il demenziale, si mette con straordinario talento al servizio di un ruolo decisamente drammatico, che però sarebbe stato impossibile da portare in scena senza l’indispensabile vena farsesca che caratterizza la sua recitazione.
A ben vedere il suo personaggio in Reign Over Me sembra infatti regredito alla vita universitaria, tra battute sconce, jam session improvvisate sulle note di Springsteen, serate fuori casa fino a tarda notte e una certa allergia alle convenzioni sociali. Questo aspetto della caratterizzazione, che in pochi avrebbero saputo mettere in scena in modo credibile, convive perfettamente con una malinconia tipica di Sandler, permettendogli di delineare il ruolo con commovente accuratezza, passando dal riso al pianto in poche semplici battute.
UN RARO EQUILIBRIO CHE PARLA AL CUORE DELLO SPETTATORE
È proprio questo difficile equilibrio il leitmotiv dell’intero film di cui Mike Binder firma sia la regia che la sceneggiatura, approcciandosi a una tematica tanto sentita quanto delicata da trattare (che non vogliamo rivelarvi, consigliandovi per questo di acquistare direttamente il film senza vedere il trailer o leggere altro a riguardo), e riuscendo nonostante questo a non cadere nella trappola della retorica. Con Reign Over Me Binder sceglie infatti di raccontare il dolore da una posizione defilata e di muoversi continuamente dal piano del particolare a quello dell’universale, toccando lo spettatore nel profondo e al contempo sfruttando al meglio la ricchezza di distrazioni e la pluralità di storie che solo la Grande Mela sa offrire.
A dispetto di quanto possa suggerire la presenza di Sandler, Reign Over Me non è certo una black comedy, non è ironico né sagace: è piuttosto una dramedy girata quando questo genere non era ancora il più in voga (il film è uscito in sala dieci anni fa), un lavoro che con grande onestà racconta il trauma senza farne il focus unico della storia o senza cercare la commozione a tutti i costi.
Pur prendendo qualche scorciatoia nella caratterizzazione di alcuni personaggi- come la moglie di Alan (Jada Pinkett Smith) o la psicologa Angela – che avrebbe potuto rappresentare un perno di maggior peso per Charlie e Alan – il regista sceglie di affidare l’intera pellicola a Sandler e Cheadle, che dimostrandosi perfettamente in parte riescono ad alzare la posta emotiva quando necessario, conferendo però quasi sfumature da buddy movie al resto della pellicola e mantenendo su un piano delicato e nobile la testimonianza del dolore.
Una menzione d’onore va a Donald Sutherland per l’interpretazione toccante del giudice che deve decidere di un eventuale internamento di Charlie: i pochissime battute ruba la scena e offre un modello di come un attore possa commuovere con una performance pesata nei più minuti dettagli.