Netflix, per quanto riguarda la musica, ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti del mondo dell’hip-hop: nel suo catalogo infatti sono presenti tantissimi titoli rivolti ai fan, tra film, serie TV e documentari. Il rap è uno dei generi più ascoltati nel mondo (lo scorso anno Nielsen ha pubblicato alcuni dati che certificano lo storico sorpasso sul rock in America), è normale quindi che un colosso come il servizio streaming di Los Gatos, interessato a catturare il maggior numero possibile di telespettatori, sia molto attento ai gusti del proprio pubblico. In questo filone si inserisce Rapture, la nuova docu-series di 8 episodi che analizza il fenomeno rap da un punto di vista alternativo (lo show verrà rilasciato il 30 marzo).
NOVE PERSONALITÀ DEL RAP RACCONTANO IL LORO LATO PIÙ INTIMO
La serie, promossa dal brand di urban culture Mass Appeal, è un viaggio che esplora la vita (pubblica e privata) di alcune delle personalità più importanti della scena hip-hop statunitense: dalle giovani leve Logic e G-Eazy ai veterani T.I. e 2 Chainz fino al leggendario Nas (l’artefice di uno dei dischi fondamentali nella storia del rap, Illmatic). Gli artisti (tra cui anche una donna, Rapsody) si confessano davanti alla telecamera parlando di tematiche centrali per le loro esistenze (come ad esempio la difficile infanzia, la famiglia e la lotta per i diritti civili).
UNA DOCU-SERIES CHE METTE IN SCENA L’ASPETTO UMANO DELL’HIP-HOP
In un documentario sul rap di solito ci si aspetta una rappresentazione a 360 gradi della storia e della carriera di un rapper, con tantissimo hip-hop in sottofondo ad accompagnare il racconto e le interviste dei protagonisti. Ebbene, in Rapture la musica è messa in secondo piano: ovviamente ha un ruolo importante all’interno dello show ma l’attenzione è maggiormente concentrata sui vizi e sulle virtù di questi performer molto differenti tra loro.
Rapture non sempre riesce a mantenere un livello qualitativo alto, soprattutto quando si spinge sul terreno scivoloso della retorica (un esempio è l’episodio con T.I., il rapper di Atlanta paladino del movimento black più per opportunità di rilancio artistica che per effettiva convinzione); tuttavia lo show brilla quando mette in evidenza le differenze (generazionali ed artistiche) dei musicisti coinvolti: il parallelismo più stimolante è quello tra Nas e Logic.
Da una parte abbiamo uno degli MC più importanti di sempre, fonte di ispirazione per milioni di giovani e protagonista della faida più famosa del rap (quella con il newyorkese Jay-Z); dall’alto del suo status, Nas sottolinea come nell’hip-hop il concetto del politically correct non possa essere concepibile e che la musica, a dispetto dell’ego personale, sia l’unica cosa davvero importante all’interno del rap game. Invece Logic, classe 1990, è uno dei volti emergenti più rappresentativi del panorama odierno (un fenomeno da quasi 9 milioni di follower tra Facebook, Instagram e Twitter): la sua storia personale ha alcuni punti in comune con quella di un mostro sacro, Eminem, ma il loro percorso è completamente diverso. Come il rapper di Detroit, anche Logic è cresciuto in una famiglia disfunzionale e con grande fatica si è fatto largo in un mondo dominato da artisti di colore; se però Eminem, soprattutto agli inizi, era l’incarnazione del white trash americano – il bad guy rabbioso e impertinente capace di sconvolgere il mondo intero – il giovane rapper del Maryland, con la sua faccia pulita da bravo ragazzo, vuole essere un esempio di vita positivo per i suoi fan. Proprio come G-Eazy (altro protagonista di questo documentario), Logic rappresenta quella generazione social che tra selfie e storie di Instagram ha lasciato da parte quella provocazione, artistica e non (escludendo ovviamente Kendrick Lamar e pochissimi altri), che da sempre contraddistingue il rap dagli altri generi musicali.
Rapture, per gli appassionati di hip-hop, è semplicemente imperdibile ma anche il pubblico più mainstream non potrà non apprezzare una serie che smonta i cliché di un movimento culturale fin troppo denigrato e sottovalutato nel corso degli anni.