Un bellissimo proverbio arabo, a proposito dei viaggi, recita in questo modo: “Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini”. Il road movie da sempre mette in scena la complessità della natura umana: tanti capolavori della cinematografia mondiale (Easy Rider e Una Storia Vera ad esempio, solo per citarne un paio) sono incentrati sull’evoluzione psicologica di personaggi che, messi alla prova da un percorso irto di ostacoli, scoprono il loro vero Io e il senso più autentico della vita. Una pellicola che rispetta fedelmente gli stilemi di questo affascinante genere è L’Ultimo Viaggio, opera seconda del regista tedesco Nick Baker-Monteys che uscirà in Italia al cinema il 29 marzo grazie a Satine Film.
UN NONNO E SUA NIPOTE FANNO I CONTI CON IL PASSATO
Dopo la morte della sua consorte, il 92enne Eduard (Jürgen Prochnow) decide di voler intraprendere da solo un viaggio verso l’Ucraina per ritornare nei luoghi della sua gioventù (l’uomo ha preso parte alla Seconda Guerra Mondiale in quella zona all’interno delle fila della Wehrmacht). La nipote Adele (Petra Schmidt-Schaller), su suggerimento della madre Uli (Suzanne von Borsody), accompagna controvoglia il nonno a Kiev ma presto questa avventura prenderà una piega inaspettata. I nostri due protagonisti, con l’aiuto di Lew (Tambet Tuisk), impareranno a conoscersi meglio e a capire quanto sia importante riconciliarsi col proprio passato e accettare le proprie radici.
UN BELLISSIMO FILM SULLA CICLICITÀ DELLA STORIA E DELLA VITA
La pellicola di Nick Baker-Monteys, docente all’Accademia Tedesca di Cinema e Televisione di Berlino, riprende una pagina nera della storia tedesca (l’invasione della Germania di Hitler in Russia) e, attraverso il parallelismo con la guerra civile ucraina del 2014 (che troviamo sullo sfondo del film), compie un’operazione cinematograficamente molto interessante rappresentando un concetto universale: nonostante i tempi cambino, la natura dell’uomo, nel bene e nel male, non muta. Al centro dell’opera ci sono due generazioni a confronto, apparentemente lontanissime tra loro (Adele, barista disadattata, mal sopporta l’anziano parente); tuttavia il viaggio verso l’Est Europa permette alla ragazza (e allo spettatore) di rendersi conto che in realtà la storia personale del nonno ha più punti di contatto con la sua di quanto potesse immaginare, intraprendendo in questo modo un processo di crescita interiore.
Stilisticamente il lungometraggio non ricerca soluzioni visive sorprendenti (massiccio qui è l’uso della camera a mano) però la scelta del regista è mirata ad amplificare la veridicità della messa in scena per creare maggiore empatia verso i personaggi, caratterizzati in maniera splendida (gli sceneggiatori evidenziano anche il loro lato meno nobile) grazie ad uno script lineare ma estremamente funzionale al messaggio che Baker-Monteys vuole lanciare.
Per la riuscita di un film inoltre l’apporto del cast è fondamentale e L’Ultimo Viaggio, da questo punto di vista, si difende benissimo: i tre protagonisti della pellicola sono semplicemente straordinari. Se Petra Schmidt-Schaller e Tambet Tuisk impersonano due giovani che devono ancora comprendere il loro ruolo nel mondo la parte del leone è affidata a Jürgen Prochnow, uno degli interpreti tedeschi più famosi all’estero (nella sua carriera ha lavorato con maestri come Michael Mann, David Lynch e John Carpenter). Il grande attore trasmette in maniera perfetta tutta la sofferenza che il suo Eduard si porta dentro di sé da tantissimo tempo ma anche la voglia, a più di novant’anni, di voltare pagina e cercare quella serenità che gli è stata preclusa da una guerra orribile.
L’Ultimo Viaggio è un’opera che dovrebbe essere presa d’esempio da molto cinema d’autore sterile ed autoreferenziale perché a volte, tramite una narrazione semplice e diretta, c’è maggiore possibilità di lasciare il segno nel cuore del pubblico.