Cocote è un film che può essere tagliato in due parti con l’accetta, sottolineando da una parte la bontà della “forma” e dall’altra la pesantezza della sceneggiatura. Nelson Carlos De Los Santos Arias ragiona come Godard e cerca di fare un film sul linguaggio cinematografico, facendo uso di ogni tipo di ripresa esistente: camera a mano da documentarista, lunghi piani fissi, campi larghissimi, carrellate e rallenti. Un registro vario che rende questa pellicola Dominicana, già passata a Locarno e presentata in anteprima nazionale al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018, estremamente interessante da vedere quanto difficile da seguire.
La storia è molto semplice: Alberto, un ordinario giardiniere, torna nella sua città natale nella repubblica Dominicana per partecipare al funerale di suo padre, ucciso da un potente criminale del posto. Alberto dovrà non soltanto far fronte alle pressioni delle sorelle, convinte che la vendetta sia necessaria; il funerale del padre sarà infatti eseguito tramite pratiche e riti che vanno contro i suoi principi religiosi.
UN CINEMA PER CINEFILI
Come detto, ciò di cui soffre questo film è di un pesante copione. Cocote potrebbe sembrare un incrocio fra un “revenge movie” e un film di Bergman o di Paul Schrader, nel quale un uomo si trova a dover fare i conti con la propria fede e con la religione. Lo stile di De Los Santos Arias è infatti – pur con risultati decisamente meno ambiziosi – la somma dei grandi maestri del novecento; il regista gira un film da cinefilo per cinefili. Piuttosto che calare nella storia chi guarda la sua opera, preferisce uscire continuamente dai fatti di Alberto, portando la camera a mano in mezzo ai lunghi rituali tradizionali della popolazione dominicana. Una grande parte del film, infatti, è dedicata alle preghiere e alle liturgie, che si compongono di danze e di canti, accanto ad un fuoco sulla spiaggia.
Nessuna didascalia o voce spiega nulla di ciò che accade: è un documento di antropologia, come se un esploratore, per la prima volta, documentasse le tribù di una parte così lontana del mondo. È inoltre ripreso con grande attenzione il paesaggio Dominicano, fra acque splendenti, spiagge e montagne spaventose. In mezzo alla natura va in scena il dramma di Alberto, del quale, però, si tratta in maniera troppo lieve.
LA RITUALITÀ COME UN PESO
Cocote infatti è fin troppo misterioso, ermetico e denso di porte chiuse che sta allo spettatore aprire. Nonostante De Los Santos Arias riesca a virare da uno stile all’altro, rischiando anche diverse scelte in cabina di regia (talvolta le facce sono oscurate, i personaggi volutamente messi fuori dall’inquadratura oppure inquadrati mentre non stanno facendo nulla), la sua pellicola non riesce ad assumere quell’aurea mozzafiato ed emozionante che riesce a un regista come Carlos Reygadas, al quale l’autore ha verosimilmente “sottratto” degli spunti. Serviva probabilmente un intreccio più articolato, magari liberato dalle interessanti (ma eccessive) sequenze di preghiera e di liturgia.
In conclusione, Cocote non è certamente un film da evitare. È un prodotto profuso di cinefilia, come non sempre se ne vedono. Chiunque sia appassionato di tecnica cinematografica e di puro stile filmico, può segnarsi il “lungo” nome di Nelson Carlos De Los Antos Arias, poiché un giorno, magari in coppia con uno sceneggiatore meno sperimentale, potrebbe aggiungere il suo nome alla fertile compagine di registi sudamericani che stanno da anni conquistando i festival. Certamente rimane il rammarico del copione: semplicemente troppo “denso”.
Cocote sarà proiettato al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 alle ore 15:00 al Cinema Centrale.