Jack Worthing (Colin Firth) è all’apparenza il perfetto gentleman inglese, curato, elegante, di buone maniere e amorevole tutore di una giovane ereditiera. Se non fosse per il fatto che il giovane veste i panni di Ernest per sfuggire ai doveri della campagna e divertirsi nella capitale inglese, dove a fargli buona compagnia c’è lo scapestrato amico Algernon Moncrieff (Rupert Everett), cugino dell’amata di Jack, Gwendolen Fairfax (Frances O’ Connor) il cui sogno è proprio quello di sposare un uomo di nome Ernest! A complicare tutto sarà proprio Algernon che farà visita alla tenuta di campagna di Jack, presentandosi alla sua protetta Cecily (Reese Witherspoon) con il nome di Ernest, il famoso fratello di Jack in cerca di ammenda per la sua vita dissoluta. L’incontro fatale tra Gwendolen e Cecily, che dichiarano entrambe di essere innamorate e promesse a Ernest Worthing, scatenerà un misunderstanding divertentissimo da classica commedia degli equivoci.
Oliver Parker è un regista conosciuto maggiormente per i suoi adattamenti cinematografici di opere teatrali della classica letteratura inglese. Iniziando con un Othello shakespeariano, per il quale si serve niente di meno che di Kenneth Branagh per la parte di Iago, approda subito ad Oscar Wilde con Un Marito Ideale nel 1999 e chiudendo, almeno per ora, con Dorian Gray del 2009. Nel mezzo c’è L’Importanza di Chiamarsi Ernest – che ora viene proposto nella retrospettiva del Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 – con il quale Parker non rischia, affidandosi nuovamente a Rupert Everett per la parte di uno dei due protagonisti.
E infatti Everett è un altro affezionato alla rappresentazione cinematografica della letteratura inglese – numerose sono le sue apparizioni in questo genere di film- e in particolare di Oscar Wilde, tanto da esordire quest’anno con The Happy Prince, da lui scritto, diretto e interpretato, sulla figura dell’eccentrico scrittore inglese.
Non è facile portare sullo schermo un testo di Oscar Wilde, rappresentate di una società borghese e illusoria di cui lo stesso scrittore si sentiva affascinato e allo stesso tempo respinto, perché la forza prorompente di quelle parole è strettamente legata al contesto storico e culturale che l’Inghilterra viveva in quegli anni di epoca vittoriana. In questo senso, se è sbagliato tacciare di anacronismo i film che sono stati tratti da opere di Wilde, ci si deve in ogni caso aspettare di non poter trovare tutta la freschezza di quei testi che tanto appartenevano alla cultura inglese di quel tempo. Oliver Parker, consapevole di questi limiti di tipo storico, decide quindi di prendere una via che per amore dell’esperienza cinematografica deve essere perdonata: la linea politicamente scorretta e l’atteggiamento satirico che tanto appartenevano all’autore inglese, vengono messe da parte a favore del godimento di una pura commedia degli equivoci in costume. D’altronde il contesto storico e culturale in cui il film venne prodotto, è totalmente differente da quello in cui l’opera originale si svolge: la moda inglese, il ruolo delle donne, l’ipocrisia della classe borghese e la denuncia sull’importanza dell’apparire anziché essere, tutte perfettamente incarnate dal personaggio di Lady Bracknell magistralmente interpretato da Judi Dench, diventano spunti di comica riflessione più che tema principale celato dalla commedia. Allora non si può neanche considerare un difetto il gioco di parole che si viene inevitabilmente a perdere nella versione italiana: in inglese, infatti, Ernest e earnest, che significa onesto, hanno la stessa pronuncia, e si confondono quando le due giovani annunciano agli amati di aver sempre sognato di sposare un Ernest/earnest.
La sceneggiatura, riadattata per l’occasione dallo stesso Oliver Parker, si concentra allora sul senso farsesco che le dinamiche dello scambio di persona, tipiche della commedia degli equivoci, suscitano sullo spettatore, puntando sull’intrattenimento puro e la partecipazione emotiva. Più che cinica satira sui costumi della borghesia inglese, L’Importanza di chiamarsi Ernest di Parker diventa una storia di riconciliazione famigliare tra due improbabili fratelli, passando per la classica commedia degli equivoci e aggiungendo un sentore di musical grazie alla serenata che i due Ernest rivolgono alle rispettive amanti.
Senza dubbio il punto forte del film è nell’interpretazione degli attori che, forti già di un soggetto brillante e di un adattamento abbastanza fedele, sono totalmente immersi nelle loro parti, sostenendo tempi comici eccellenti in grado di rendere giustizia allo humour inglese che una commedia di questo tipo esige.
Rupert Everett, che era già comparso in Un Marito Ideale, e Colin Firth, che non rinuncerà qualche anno dopo a prendere parte e Dorian Gray, dimostrano, da buoni britannici, di saper recitare Oscar Wilde in maniera naturale e fluente da non destare il minimo sospetto di forzatura interpretativa. E mentre su tutti troneggia Judi Dench, magnifica e impetuosa come sempre, Reese Witherspoon e Frances O’Connor, statunitense la prima e australiana la seconda, portano una boccata di aria fresca facendo da contraltare alla maschera un po’ imbranata dei due protagonisti maschili.
L’Importanza di Chiamarsi Ernest sarà proiettato al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2018 alle ore 17:00 del 12 aprile presso l’auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca.