Su ogni buona tavola che si rispetti è ormai orrida consuetudine arricchire la mise en place con uno smartphone. Gli esperti direttori di sala dei migliori ristoranti del mondo non sono ancora riusciti a codificare se il cellulare vada posto alla destra o alla sinistra del piatto, o se invece debba essere posizionato in alto al posto del piccolo cucchiaio riservato al dessert; resta il fatto che ovunque si collochi, quella che correttamente viene definita nel film “la nostra personale scatola nera”, nessuno di noi ne lascerebbe libero accesso agli altri commensali. L’idea alla base di Perfetti Sconosciuti, e il conseguente espediente narrativo, messa in piedi dal regista Paolo Genovese funziona sin dalle prime battute trasformando un contesto casalingo in un piccolo teatro dove gli attori interagiscono nella stretta arena di un tavolo conviviale. Sono forti gli echi stilistici del Carnage di Roman Polański, anche se in questo caso tutto si gioca sull’ironia e sul cinismo che anima questo gruppo di persone che si conoscono da una vita e che apparentemente non nascondono segreti. Ogni volta che arriva una chiamata o un messaggio lo spettatore viene coinvolto ludicamente nelle dinamiche che si innescano tra i partecipanti alla cena; gli attori funzionano, con un Mastandrea e un Giallini in ottima forma, e le risate, a volte amare a volte no, giungono a profusione.
Dunque una commedia italiana perfettamente riuscita? Purtroppo no.
L’ultima parte della pellicola si lascia contrarre dalla sindrome di Ozpetek (secondo la quale se durante il film non emergono almeno 479 drammi personali l’opera non può concludersi) diventando un melodramma dove gli attori diventano la macchietta triste di loro stessi lasciando lo spettatore con quella sorta di deja vu che tanto intelligentemente Genovese era riuscito ad evitare nella prima del suo lungometraggio. Detto questo direi che la nostra coscienza civile dovrebbe prendere atto che è giunta l’ora di fare una petizione popolare per far smettere di recitare Alba Rohrwacher, che sembra sempre una che è appena arrivata in città dal paesino sulle Alpi del nonno di Heidi. Resta il fatto che questa commedia è ampiamente sopra la media delle produzioni “popolari” del nostro cinema, regalandoci almeno un’ora gradevole e ricca di divertimento. Provaci ancora Genovese.