Kedi – La Città dei Gatti avrebbe potuto essere un semplice documentario sui felini, in grado di strappare qualche lacrima agli amanti dei gatti o poco più. Per fare ciò sarebbe infatti bastato prendere i sette gatti protagonisti del film (dotati di nomi e personalità ben definite) e metterli a favore di camera, per evidenziarne la dolcezza e la tenerezza. Ceyda Torun, invece, al suo primo lungometraggio riesce a rendere il film profondamente spirituale, evocativo come un documentario sui luoghi di culto di tutto il mondo.
I GATTI E LA RELIGIONE
Metropoli ad alto tasso di fedeli Musulmani, Istanbul gode di una particolarità unica: esiste fra due continenti, Europa e Asia, uniti soltanto dallo splendido ponte del Bosforo. All’interno della città, dunque, si agitano decine di culture e di religioni diverse, che convivono in altrettanti luoghi di culto: moschee, chiese e sinagoghe. Ad un certo punto del film, un marinaio racconta di quando una tempesta gli distrusse la barca appena comprata e di come non avesse il denaro necessario per ripararla. Nel mezzo della disperazione, secondo il racconto dell’uomo, arrivò un gatto che lo guidò ad un portafoglio abbandonato che conteneva esattamente la somma di cui aveva bisogno.
Da quel momento l’uomo cominciò a prendersi cura del felino, considerando quel gesto come un segno del divino. Non ci viene rivelata la fede religiosa del marinaio, ma sappiamo che non sarà l’unico a citare la sfera del sovrannaturale in relazione ai gatti. I felini che popolano la città sono raccontati come il “trait d’union” di Istanbul: le centinaia di migliaia di gatti che scorrazzano per le strade uniscono comunità eterogenee, abbattendo le differenze tra razze e religioni. Ad ogni persona va il compito di prendersi cura di loro. Il marinaio inoltre è convinto che i cani credano che dio sia l’uomo, e che i gatti lo vedano invece solo come un mero emissario di dio, un tramite fra il divino e il terreno.
Uno degli aspetti più affascinanti del film è proprio questo: la capacità andare tanto in profondità nell’universo felino mantenendosi su un piano quasi ‘psicologico’ e senza dubbio antropologico. Ceyda Torun non spiega infatti come i gatti caccino o come una mamma si prenda cura dei piccoli; mostra piuttosto l’ingegno dell’animale, il suo modo di stare accanto ad un essere umano. Perché si, oltre ai felini ci siamo anche noi.
ISTANBUL E I SUOI ABITANTI, ATTRAVERSO I FELINI
Mario Monicelli diceva di Marcello Mastroianni: “Marcello è come un gatto: dovunque lo metti, sta bene”. Il regista di Amici miei aveva ragione, sia sull’attore romano che sull’animale. In Kedi – La Città dei Gatti i gatti sono invadenti, poiché entrano continuamente nelle case; molesti perché cercano di rubare il pesce ad un banco del mercato, scontrosi quando fra di loro si attaccano e poi dolci quando si fanno accarezzare, plastici quando si sdraiano e divertenti quando cadono o si rincorrono.
Sono una specie, i gatti, che esiste e viene studiata da secoli, eppure nessuno studioso è ancora realmente riuscito a capire l’esatta funzione delle fusa. Sono ancora animali misteriosi, incomprensibili e per questo così affascinanti all’occhio umano. Eppure ovunque li vediamo, in qualsiasi circostanza, pensiamo che “non importa dove li metti, stanno bene uguale.”
In Kedi – La Città dei Gatti infatti sono presenti tanti quartieri diversi, turistici o meno, popolari o borghesi. C’è un gatto che si “guadagna da vivere” uccidendo dei topi per un ristoratore che ha il locale vicino al mare. Un altro invece vive dentro un bar e si ciba di quello che gli viene offerto dai turisti. Un terzo, invece, va a scroccare all’interno di un mercato a cielo aperto, mentre un altro ancora aspetta che gli venga portato da mangiare da un suo “amico” umano, che da diversi mesi si prende cura di lui.
Il punto è che grazie allo “stratagemma” di filmare i gatti, Ceyda Torun riesce a raccontare Istanbul splendidamente, infilandosi fra i vicoli e i mercati, dentro le abitazioni ed i bar. Vediamo la città per quello che effettivamente è: un luogo sporco, straripante di persone, con condizioni igieniche e logistiche che noi occidentali non riusciremmo mai a sopportare. Con le verdure che vengono calpestate da un gatto randagio, cadono per terra e vengono successivamente vendute; anche un luogo adibito ad un ceto sociale “superiore”, come il ristorante, è strapieno e stretto. Grazie alla sapiente regia di Ceyda Torun recepiamo tutta la claustrofobia di Istanbul, che chiunque ci sia stato può confermare essere un problema tangibile.
Kedi – La Città dei Gatti insomma è una piccola gemma di documentario, prodotto da YouTube Red e nelle nostre sale dal 22 maggio con Wanted Cinema, che riesce a raccontare una città, i suoi abitanti (umani) e i suoi cittadini (i gatti). La dolcezza dei sette felini addolcisce il messaggio di “denuncia” che è alla base di questa pellicola, la quale mostra con grande successo quanto sia difficile e faticoso vivere ad Istanbul. Coi suoi soli ottanta minuti di durata, Kedi – La Città dei Gatti è un documentario emozionante, evocativo e in grado di raccontare il piacere, per molti salvifico, di prendersi cura un giorno di un animale randagio e di vederlo tornare il giorno dopo.