L’Asian Film Festival, rassegna cinematografica dedicata alle opere provenienti dall’Oriente, ha presentato il lungometraggio Shuttle Life: debutto al cinema del malese Tan Seng Kiat, la pellicola è stata proiettata al Toronto International Film Festival ed ha ricevuto lo scorso anno i premi per il Miglior Film, la Miglior Regia e il Miglior Attore Protagonista agli Asian New Talent Awards dello Shanghai Film Festival.
LA STORIA DI UN RAGAZZO DELLA PERIFERIA POVERA DI KUALA LUMPUR
Il film racconta la storia di Qiang (Jack Tan), un diciannovenne che vive nella poverissima periferia di Kuala Lumpur assieme alla sorellina Hui Shan (una strepitosa Angel Chan) e alla madre Chang (interpretata dall’attrice e regista taiwanese Sylvia Chang) che soffre di disturbi psichici. Qiang raccoglie l’acqua per tutti (la Malesia combatte da anni con una gravissima crisi idrica), si occupa sia della mamma che della sorellina, a cui è molto affezionato, e prova a portare a casa qualche soldo con lavoretti saltuari e piccoli furti in compagnia di due amici. Il giorno del sesto compleanno di Hui Shan, Qiang la porta a comprare una torta di compleanno ma mentre stanno tornando a casa una macchina li investe e Hui Shan muore sul colpo. Qiang si reca quindi in ospedale per reclamare il suo corpo ma la piccola non ha un certificato di nascita, senza il quale non è possibile prelevarne il corpo e darle una degna sepoltura.
UNA PELLICOLA CHE DENUNCIA LE CONTRADDIZIONI DELLA SOCIETÀ MALESE
Shuttle Life è un’ottima finestra sul cinema della Malesia e sulla futura carriera di Tan, che si inserisce nella lista dei registi emergenti del sud-est asiatico da tenere d’occhio. La pellicola del cineasta emergente è un film molto amaro e disperato che tenta di raccontare con grande oggettività le grandi contraddizioni del paese e le tragiche condizioni di vita di chi abita nella periferia malese. Recitato in una lingua che è un mix di malese, mandarino e inglese, il lungometraggio accompagna lo spettatore per le strade in cui vivono una moltitudine di persone di culture, lingue ed etnie differenti, accomunate solo dalle condizioni di vita al limite e dalla povertà imperante. Ma il paese ha anche un altro volto, quello della megalopoli di Kuala Lumpur con le sue insegne al neon, i locali notturni e le ville dei politici che fingono di dialogare con gli ultimi per poi organizzare feste e ricevimenti dove i piatti traboccano di cibo e dove c’è acqua in grandissima quantità.
Qiang e i suoi amici sono costretti al bighellonaggio e a ricorrere a piccoli furti per sbarcare il lunario, per questo l’unico modo che hanno di procurarsi i soldi per il falso certificato di nascita di Hui Shan è quello di rubare macchine da rivendere. Tan racconta la sua storia con grande realismo, con lunghissimi piano-sequenza che seguono silenziosamente i protagonisti negli spazi angusti in cui vivono o per le strade affollate (l’ultimissima scena, in questo senso, è veramente grandiosa), senza giudicarli né giustificarli e senza scadere in futili moralismi. Il regista tenta quindi di mostrare l’amarissima realtà dei fatti senza alterazioni.
Di sicuro si può rimproverare a Shuttle Life una certa mancanza di originalità ma il cinema del sud-est asiatico sta tentando di emergere con una poetica comune ben precisa, volta a mostrare e a denunciare l’enorme scarto sociale che opprime i suoi abitanti assieme alla grandissima povertà che li affligge. Non un capolavoro di innovazione quindi ma un film solido che punta dritto al cuore delle problematiche malesi senza scendere in nessun caso a compromessi.