Chi è più oppressa? Una donna avvolta dalla testa ai piedi in un burka o una delle modelle in bikini che appaiono sulle riviste?
Questa è, più o meno, una battuta dal pilot di Dietland, la nuova serie AMC distribuita in Italia da Amazon Prime Video e tratta dall’omonimo romanzo di Sarai Walker. Romanzo che, dalla critica, era stato definito come un Fight Club femminista.
Se questa definizione vi mette sul chi va là rilanciamo con alcuni degli elementi di trama che compaiono già nel pilot: una ghost writer obesa che sogna di fare la giornalista, due veterani uccisi, un’organizzazione terroristica che rivendica gli omicidi con il nome di “Jennifer”, un gruppo di donne il cui scopo è quello di liberare altre donne dalla schiavitù dell’immagine, intesa come una delle facce del modello patriarcale e maschilista.
Dicevamo? Plum Kettle, una straordinaria Joy Nash (Twin Peaks, The Mindy Project), è una donna che, non potendo nascondere il proprio corpo a causa dell’obesità, nasconde tutto il resto: tanto per cominciare non si chiama nemmeno Plum, ma Alice; è una ghost writer (risponde alle lettere di una rubrica femminile fingendo di essere la bella e magrissima Kitty Montgomery, interpretata da Julianna Margulies) e si barcamena tra una dieta e l’altra, frequentando persino gruppi di sostegno; vive in una sorte di lunga pausa in cui aspetta di poter diventare, dopo l’intervento di bypass gastrico, la donna che vorrebbe essere.
Un giorno però nella sua noiosa e insoddisfacente routine di attesa arriva la chiamata all’avventura: incontra delle donne (probabilmente solo la punta dell’iceberg) che agiscono in segreto cercando di far nascere nelle ragazze con cui hanno a che fare un sentimento di accettazione e valorizzazione di ciò che già sono: non è la Plum magra che vuole uscire allo scoperto, ma “solo” Alice.
Plum ci accompagna nella scoperta del suo cambiamento e di un femminismo che – immaginiamo – non si risolverà nel macchiettistico diritto a non depilarsi, ma sfocerà nel tentativo di distruzione e ricostruzione di quella parte di società le cui regole sono state scritte e accettate (a volte con poca consapevolezza) anche dalle donne.
Per fare un esempio: persino la madre di Plum, una bella signora alla mano che vuole bene a sua figlia e si preoccupa per lei, per incoraggiarla e dissuaderla dall’idea di sottoporsi all’intervento di bypass gastrico le ricorda una zia grassa, sì, ma sposata. Come a pensare che il matrimonio sia una delle caselle da barrare nella scheda della normalità e dell’accettazione (fatte passare per felicità). Eccetera.
Dietro al progetto c’è lo sguardo di Marti Noxon, produttrice, sceneggiatrice e regista che si è già cimentata sul grande schermo con Fino all’osso, e per la serialità con – per dirne una – UnReal.
La Noxon, poggiandosi sul romanzo della Walker, racconta l’inizio bellicoso e paradossale di una rivoluzione mostrandoci come il sessismo si faccia strada nella mente delle persone, anche a suon di frecciatine più o meno premeditate: qualunque sforzo si compia c’è sempre un modo per non essere accettate (e per non accettarsi).
Dal punto di vista tematico è certamente un racconto interessante che prende il volto (e il voice over) di una bravissima Joy Nash in eterno conflitto con se stessa, una donna che considera il proprio corpo solo come un marchingegno per spostare la testa. Dall’altro lato la svolta paradossale di Jennifer e dei suoi attentati a sfondo femminista ma ci domandiamo: un terrorismo femminile che punisce il mondo maschilista è davvero un paradosso?
Nella sigla vediamo il cartoon di New York e della nostra Plum, cartoon che di tanto in tanto torna a mostrarsi anche nel corso della puntata, generalmente per esplicitare al pubblico – e soprattutto a Plum – le sue stesse emozioni. Alla fine della sigla si legge il titolo della serie, Dietland, come fosse un’insegna luminosa. La lettera T resta tremolante, lì lì per spegnersi e rivelare un titolo più inquietante: Die land.