Raccontare un genio ha i suoi vantaggi: quando si ha il compito di portare sullo schermo immagini, idee ed esperienze fuori dal comune, vi è la certezza che il materiale a disposizione del regista sia già in partenza eccezionale. D’altro canto, proprio per la natura superlativa delle opere con cui il narratore deve reggere il confronto, c’è il rischio che la confezione documentaria risulti appannata, stancamente celebrativa; una pallida ombra del soggetto della storia. Non è assolutamente questo il caso di McQueen, film documentario di rara bellezza presentato al Biografilm Festival 20018 – International Celebration of Lives, che riesce pienamente a rendere giustizia all’arte dell’indimenticato creatore di moda Alexander McQueen.
Ian Bonhôte dirige insieme a Peter Ettedgui (che firma anche la sceneggiatura) un riuscitissimo compendio del percorso umano e artistico di uno dei più grandi creatori di moda di sempre, capace di unire il più grande talento sartoriale con una visione anticonformista, ribelle e grottesca del design. Nelle quasi due ore di metraggio seguiamo McQueen dagli esordi alla prematura morte, mentre i passaggi principali della sua vita privata e pubblica sono scanditi da rispettivi capitoli, per i quali i registi giocano con l’idea delle VHS, calcando la mano sulla bassa qualità video di molti dei contributi filmati tramite effetti che riproducono a tratti la degradazione magnetica di un videonastro. Non si pensi però che l’estetica della pellicola giochi al ribasso, dato che – al contrario – in piena fedeltà all’estetica di McQueen fa incontrare il basso e l’alto, accostando ad alcune transizioni low-fi delle superlative animazioni in computer grafica, che ripropongono il tema dei teschi (tanto caro a McQueen, e che ispirò la sua iconica sciarpa), declinandolo secondo il tema delle varie collezioni che vengono ripercorse sullo schermo.
Sono infatti le collezioni del grande stilista – dalla sperimentazione degli inizi agli indimenticabili catwalk show perturbanti, passando per il controverso e folgorante esordio per Givenchy – a scandire la dimensione creativa del film, lungo un percorso che riesce pienamente tanto a rendere la smisurata ambizione espressiva dell’artista quanto a delineare fluidamente un’evoluzione tematica e stilistica. Suggestioni mitologiche o macabre si sposano ai materiali più pregiati o a quelli più poveri, per un’idea di abito vivo che è decisamente più vicina all’immaginario teatrale e cinematografico che a quello del prêt-à-porter.
Sono però le parentesi intime a regalare le emozioni più forti, e così le numerose testimonianze di amici, collaboratori e compagni che si susseguono con grande naturalezza permettono di avere una visione complessa del personaggio, dai traumi infantili alla voglia di riscatto, dalla povertà durante i primi successi all’ascesa verso un olimpo di ricchezza e tossicodipendenza, fino al drammatico suicidio il giorno prima del funerale dell’amatissima madre. A fare da cerniera ai due mondi, quello di Lee (questo il vero nome di McQueen) e quello di Alexander, il sodalizio umano e artistico con l’iconica editor Isabella Blow, che segna l’ascesa al successo e, nel momento dell’allontanamento tra i due, coincide con l’inizio di una parabola psicologica discendente che trasformerà completamente il vulcanico fashion designer.
McQueen è un lavoro confezionato e scritto in modo semplicemente impeccabile, che anche solo per i meriti registici e autoriali meriterebbe ogni lode possibile, ma che trova uno straordinario completamento nell’incantevole colonna sonora composta temi più o meno celebri di Michael Nyman (dalla memorabile colonna sonora di Lezioni di Piano alle parti musicali dell’opera L’Uomo che Scambiò sua Moglie per un Cappello). Era proprio la musica di Nyman che McQueen amava ascoltare (insieme a quella di Sinéad O’Connor) nelle interminabili sessioni di creative, e pertanto è difficile pensare a un completamento migliore di un lavoro così ben concepito.
Un’ora e cinquantuno di grandissimo cinema documentario, che riporteranno alla mente o faranno conoscere le stravaganti e perturbanti creazioni di un designer amante dell’azzardo più ardito, che tra silhouette monumentali, inediti volumi in movimento, un’idea di bellezza innovativa e alcuni celebri marchi di fabbrica (dai teschi, alle calzature estreme fino ai pantaloni a vita bassissima) ha cambiato per sempre il mondo dell’alta moda. Tra le mille suggestioni, siamo certi che le immagini della presentazione della 13° collezione, in cui la modella e ballerina Shalom Harlow rotea inerme su una pedana mentre due bracci robotici spruzzano vernice su un minimale e monumentale abito bianco non ve le scorderete mai.
Il film, con il titolo italiano di Alexander McQueen – Il Genio della Moda, sarà in sala dal 10 al 13 marzo con I Wonder Pictures.