Presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival – International Celebration of Lives, Ancora un Giorno (titolo originale Another Day of Life) è il racconto del conflitto intestino dell’Angola negli anni ’70. Una splendida riflessione sul mestiere di giornalista, che sarà nelle nostre sale dal 24 aprile con I Wonder Pictures.
Il protagonista di Ancora un Giorno di Raul de la Fuente e Damian Nenow è Ryszard Kapuscinski, giornalista e unico corrispondente estero dell’agenzia di stampa polacca, senza il quale non sapremmo così tanto del terzo mondo e delle rivoluzioni che lo hanno attraversato per tutto il novecento. Le esperienze di “Richard” (come lo chiama nel film un collega americano) sono state raccolta in decine di libri, anche se il suo preferito resta quello nel quale ha ritratto ciò che ha visto in Angola negli anni ’70: Ancora un giorno (edito in italia da Feltrinelli). Presentata all’ultimo festival di Cannes, l’opera di De la Fuente e Nenow unisce l’epica e la tragicità della guerra ad una profonda riflessione deontologica sul giornalismo.
Nonostante l’Angola fosse riuscita ad ottenere l’indipendenza dal Portogallo nel 1975 (dopo quattordici anni di conflitto), la nazione africana non aveva ancora finito di soffrire. A causa delle sue risorse minerarie, infatti, quel territorio a confine con il Congo era nel mirino di diverse potenze mondiali. All’interno del paese era inoltre in corso una guerra civile fra due movimenti: MPLA, il movimento popolare per la liberazione dell’Angola (filo marxista e quindi ideologicamente vicino alla Russia) e UNITA, l’unione nazionale per la totale indipendenza dell’Angola, la quale invece si identificava come partito di destra anti-comunista e per questo più vicino agli Stati Uniti. Con la guerra fredda ancora in essere, è facile intuire la complessità politica e sociale dell’Angola in quel periodo.
In una scena di Ancora un Giorno, infatti, viene spiegato a Richard che quando si trova davanti a dei soldati ha il cinquanta percento di possibilità di sopravvivere: rispondere in russo (dicendo “Kamerada”) oppure in inglese. Con un po’ di fortuna si poteva restare in vita. Kapuscinski non può assolutamente permettersi la morte, dal momento che deve incontrare il leggendario generale Farrusco, nascostosi dopo aver cambiato fazione. In questo senso il film somiglia al capolavoro di Conrad: in entrambi i casi il fulcro della narrazione è la tragicità della guerra e degli effetti che ha sull’uomo. Kapuscinski si trova a Luanda, durante l’assedio, fra i cadaveri che vengono lasciati per terra e i corpi abbandonati gonfi e malati. La cosa più bella del film di De la Fuente e Nenow è che restituisce questo mondo con estrema fedeltà, nonostante da un genere come l’animazione ci si potesse aspettare una sorta di edulcorazione. Qui invece non si nasconde niente, né la follia e nemmeno l’orrore.
La trama principale è poi spesso interrotta dalle interviste ai protagonisti del film, ormai diventati vecchi ma ancora lucidi. Il generale, il giornalista americano che accompagna Richard e altri testimoni diretti di quei giorni di fuoco in Angola. Per quanto purtroppo rallentino a tratti il ritmo del film, le interviste sono necessarie a far parlare le persone che hanno vissuto i fatti e che per questo possono dare allo spettatore ancora più informazioni sugli eventi. A maggior ragione se pensiamo che Kapuscinski, in fondo, ha potuto raccontare nel suo libro soltanto ciò che ha visto coi suoi occhi, senza poter approfondire, per esempio, le conseguenze che il gesto di Farrusco ha avuto sulla vita del generale.
Ibridando il genere del reportage “puro” e quello della narrazione, lo stile di Kapuscinski ha fatto sì che il suo nome rimanesse nella storia del giornalismo mondiale (tanto da essere spesso inserito nelle liste dei possibili premi Nobel). Se infatti Ancora un Giorno tiene incollati allo schermo mentre racconta i fatti della guerra, è nel segmento finale che raggiunge il suo climax, quando Kapuscinski si trova a fare i conti con l’etica professionale. Egli possiede delle informazioni che potrebbero cambiare il senso del conflitto e si chiede dove finiscano i doveri del giornalista e dove inizino quelli dell’essere umano. Quella ‘cosa’ la sa solo lui, in tutto il mondo. Ha nelle mani lo scoop che ha inseguito per tutta la carriera ed è conscio che potrebbe costare la vita a centinaia di persone. Ripensa allora alle lezioni universitarie, nelle quali uno studente insinuava che senza i giornalisti le guerre sarebbero diverse. Non vi spoileriamo nulla, ovviamente. Vi diciamo solo che quel minuto di scena giustifica da solo il proverbiale “prezzo del biglietto”.