Presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival – International Celebration of Lives, Les Gardiennes racconta la vita delle donne durante la grande guerra, lasciate a prendersi cura dei campi. Un’opera fedele alla realtà, anche se con grandi limiti.
Nel 2010 Xavier Beauvois ha presentato a Cannes Uomini di Dio, un capolavoro di tensione con il quale si era aggiudicato il gran premio della giuria in quella edizione. I suoi film sono molto simili fra loro: lenti, meditativi e ambientati in mondi non ancora “contaminati” dalla tecnologia. Si potrebbe dire che in un’era di produzione audiovisiva digitale, il regista francese sia rimasto ancorato all’analogico e al cinema di altri tempi, legandosi specialmente a registi come Bresson o Ozu, maestri del racconto “lento”. Les Gardiennes è però troppo vecchio e povero nella realizzazione, prolisso nel raccontare la sua storia e pesante per la mancanza di un intreccio vero e proprio. Un film da festival e “per critici”, con uno scarso potenziale commerciale ma comunque dotato di qualche spunto degno di nota.
Durante la grande guerra gli uomini della famiglia Sandrail sono chiamati alle armi e devono pertanto lasciare il loro lavoro nella fattoria francese, la quale deve essere gestita dalle donne rimaste in patria. Les Gardiennes racconta il passare delle stagioni all’interno della fattoria, l’arrivo dei soldati americani e alla sofferenza delle donne nell’attesa del ritorno dei loro figli, fratelli o compagni.
Alla fattoria Paridier il tempo scorre monotono, diviso in giornate identiche che si ripetono. Tutto sommato la famiglia Sandrail sta economicamente bene, per cui in questo film è completamente assente la miseria legata alla fatica di mettere un pasto a tavolo. Nè ricchi e nè poveri: i Sandrail sono una famiglia media, che vive in una media fattoria e conduce un’esistenza identica a quella di tanti altri. In Les Gardiennes non c’è veramente nulla di speciale, anzi. Beauvois lavora per sottrazione, eliminando tutto il superfluo dall’intreccio per ridurlo ad un mero lavoro di “documentazione” della vita in fattoria durante il guerra; una base troppo fragile per sostenere i mastodontici ‘138 minuti di durata. Neppure il comparto visivo presenta motivi di interessi: per tutto il film si alternano campi medi e sporadici movimenti di macchina per vivacizzare un po’ il grigiore della narrazione.
Tuttavia, The Gardians (questo il titolo internazionale) non è tutto da buttare. Quest’opera ha senso di esistere grazie a due fattori: il cast e (paradossalmente) proprio il modo in cui è stato concepito.
Le protagoniste sono sostanzialmente tre: la madre, Hortense Sandrail (intepretata da Natalie Baye), una giovane ragazza che viene assunta per lavorare e che è estranea alla famiglia, Francine (l’esordiente Iris Bry) e poi Laura Smet, figlia della Baye nella vita vera e nel film, dove interpreta Solange. Xavier Beauvois racconta con questo trio le differenze generazionali, dall’austera madre conservatrice alle giovani e bellissime donne in cerca della libertà sessuale. L’unico momento in cui il film decide di raccontare (seppur vagamente) qualcosa è quando i soldati americani giungono alla magione Sandrail e si avventano alle due giovani e affascinanti donne, le quali per piacere e per guadagno fanno l’amore con loro. Non è facile mantenere la stessa espressione per tutto il film e poi dover improvvisamente cambiare modo di recitare per pochi minuti; Baye, Bry e la Smet lo riescono a fare con una naturalezza tale da poter finalmente catturare l’attenzione dello spettatore. Dopo quasi due ore monocorde, nelle quali le tre donne si comportavano in modo simile, escono allo scoperto le loro divergenze e il loro diverso modo di intendere il sesso. Tutto questo, senza tre grandi attrici, non sarebbe stato possibile.
Infine sciogliamo il paradosso per il quale Les Gardiennes è positivamente e negativamente influenzato dal modo in cui è stato concepito. Negli anni abbiamo visto film che trattavano di guerra nei più disparati modi: alcuni ne sottolineavano la spettacolarità, altri l’influenza tremenda che aveva sull’uomo, altri ancora erano delle splendide commedie amare (come La grande guerra di Monicelli). Ciò che tutti gli War Movie hanno in comune è comunque il compito di ricordarci quegli avvenimenti e di mantenere viva la memoria storica di un paese. Xavier Beauvois è invece interessato a raccontare la parte più noiosa della guerra, quella di chi rimane a casa. Lontano dalle pallottole sono rimasti centinaia di donne, di vecchi e di bambini, i quali vivevano in una lancinante attesa del ritorno dei loro cari. Pochissimi film nella storia del cinema si concentrano sulla guerra lontano dal campo di battaglia; semplicemente perché non è interessante a livello audiovisivo e tirarci fuori una storia, se si vuole mantenere fede alla realtà, è una vera e propria impresa.
Proprio per questo l’ultima opera di Xavier Beauvois è un film che andava fatto e non poteva essere girato e concepito in altro modo. Il risultato è Les Gardiennes, un’opera pesante, lenta e volutamente monotona dall’inizio fino a quasi la fine. Tuttavia, ciò che viene mostrato è il più possibile vicino alla realtà.