Ci sono film che mettono in difficoltà il recensore, che lo costringono a schierarsi in modo piuttosto netto, a prendere posizione in argomenti che possono risultare piuttosto spinosi. Remake sì o remake no? Giochiamo a carte scoperte: non che il tipo di operazione sia un male in sé, ma alcuni dei prodotti della categoria sono talmente pessimi da gettare una luce piuttosto sconfortante sulla pratica del rifacimento. Ciò che più conta è il motivo per cui si decide di fare un remake e che cosa quindi ci si aspetti dal risultato. Se, per citare uno degli esempi più recenti, Jumanji – Benvenuti nella Giungla è di fatto a cavallo tra reboot del film del 1995 e sequel, allo stesso tempo è anche un’operazione intelligente di riscrittura e adattamento di un certo prodotto a tempi che, per forza di cose, sono molto cambiati. In altri casi, quello che si ha è invece una pellicola piuttosto fiacca che non ha troppo da dire, o meglio non ha molto in più da dire rispetto al film originale.
In mezzo a questi estremi si colloca invece Papillon di Michael Noer presentato alla 72esima edizione dell’Edinburgh International Film Festival. Il film è un remake del Papillon di Franklin J. Schaffner del 1973, a sua volta basato sull’autobiografia di Henri Charrière, con Steve McQueen e Dustin Hoffman nei due ruoli principali. La storia segue principalmente l’arresto con accusa (infondata) di omicidio, la deportazione e la detenzione di Charrière (Charlie Hunnam), soprannominato Papillon per via del tatuaggio di una farfalla che ha sul petto, in un penitenziario della Guyana francese. In viaggio verso l’isola farà la conoscenza del falsario Louis Dega (Rami Malek), con il quale stringerà amicizia nella speranza di poter ricorrere ai suoi soldi per finanziare la propria fuga.
Guardando Papillon ciò che salta subito all’occhio è la volontà del regista di confezionare un’opera che possa essere di maggiore gradimento per il pubblico di oggi e per far questo ricorre a un unico strumento: un ritmo serratissimo che incalza lo spettatore. Così, i ripetuti tentativi di fuga di Papillon si rincorrono in un crescendo sia in termini di percentuale di successo che di pena da scontare contro quell’andamento non progressivo che caratterizza l’originale del ‘73. Quel che però va riconosciuto alla nuova pellicola è il buon bilanciamento tra il furore delle fughe e la stasi dell’isolamento dove, in quest’ultime in particolare, i movimenti di macchina stessi si fanno costretti e limitati, a mimare l’impossibilità del soggetto di uscire dai confini della cella. Abbondano così i primi piani, che vanno a scavare nel volto sempre più emaciato di Papillon alla ricerca di quel punto di rottura emotiva che le circostanze sembrano chiamare a gran voce.
Assieme all’insopprimibile desiderio di fuga di Papillon e alla sua conseguente, spasmodica, corsa verso una libertà negata, altro elemento fondamentale del film è l’amicizia che lega i due uomini. Il rapporto iniziato più per motivi di comodo che non per un’affinità elettiva si trasforma ben presto in un legame viscerale che accompagnerà Papillon e Dega per tutti i loro anni di prigionia. Quest’amicizia, infatti, costituisce il fil rouge della pellicola dominando l’intera struttura narrativa in un gioco di causa ed effetto che convoglierà in un epilogo, per forza di cose, ampiamente previsto.
Nonostante i pregi finora elencati e le prove attoriali di tutto rispetto sia di Hunnam e Malek, resta difficile non chiedersi se ci fosse davvero bisogno di produrre un film del genere. A conti fatti, quella che era già una storia potente e ben strutturata nel primo Papillon del 1973 mantiene esattamente le stesse caratteristiche in questo remake di più di quarant’anni dopo. L’unica aggiunta significativa, oltre ad alcune alterazioni a livello di trama operate per mero scopo ritmico, si ha nella contestualizzazione della storia di Papillon stesso, andando a offrire uno spaccato sia sulla sua vita a Parigi prima dell’incarcerazione che, seppure per un tempo troppo misero per poter essere significativo, dopo aver riguadagnato la sua libertà. Dove però il mostrare un Papillon invecchiato e atto a consegnare il manoscritto della propria biografia a un editore può sembrare gesto ozioso e tutto sommato superfluo, la finestra aperta sugli anni parigini convince e regala una pennellata di colore a un film che gioca a lasciarci in bilico tra la promessa della fuga e l’oblio della prigionia.
Papillon sarà nelle nostre sale dal 27 giugno distribuito da Eagle Pictures.