Michelangelo Antonioni è uno dei maestri indiscussi del nostro cinema: il regista ferrarese, fin dal suo film d’esordio del 1950, sconvolse la scena italiana andando oltre il neorealismo con opere che trattavano temi straordinariamente moderni come il disagio interiore e la disgregazione dei rapporti affettivi. Con la Trilogia dell’Incomunicabilità (L’Avventura, La Notte e L’Eclisse), Blow-Up, Zabriskie Point e Professione: Reporter Antonioni ha scritto pagine indelebili della storia della settima arte mondiale. Deserto Rosso, pellicola del 1964 scritta a quattro mani con Tonino Guerra e con protagonista Monica Vitti, è uno dei tanti capolavori della sua filmografia.
Monica Vitti interpreta una donna che non riesce a colmare il suo vuoto interiore.
Giuliana (Monica Vitti) è la moglie di Ugo (Carlo Chionetti), un dirigente industriale. Nonostante una vita agiata, la donna soffre di crisi nevrotiche che l’hanno spinta sull’orlo del suicidio. Neanche la relazione extraconiugale con Corrado (Richard Harris), amico e collega di Ugo, riesce del tutto a colmare il senso di insoddisfazione e di inadeguatezza di Giuliana.
Deserto Rosso, Leone d’Oro che rappresenta un importante passo nella ricerca estetica di Antonioni
Leone d’Oro nel 1964, Deserto Rosso è il primo film a colori di Michelangelo Antonioni (la fotografia di Carlo Di Palma fu premiata ai Nastri d’Argento). Ambientata a Ravenna, la pellicola rappresenta una sorta di estensione della Trilogia dell’Incomunicabilità, perché anche qui la tematica dell’alienazione è centrale. Tuttavia, a differenza dei tre precedenti lungometraggi, il maestro ferrarese dà grande spazio alla sperimentazione cromatica (in un’intervista Antonioni affermò che la storia prese vita a colori nella sua mente), realizzando probabilmente una delle più importanti opere italiane dal punto di vista della ricerca formale.
La vicenda di Giuliana, donna che non riesce a trovare un senso alla sua esistenza, si lega a doppio filo ad un’epoca post-industriale che tende a desertificare le relazioni interpersonali – lo scenario è una Ravenna plumbea e disumanizzata. Nonostante il film possa risultare ostico (il ritmo narrativo è volutamente compassato, con tanti momenti morti), la forza delle immagini e il talento di Monica Vitti nel rendere il suo personaggio estremamente umano e sfaccettato trascinano lo spettatore in un’esperienza visiva e sensoriale che ha pochi eguali nel cinema italiano, e che è stata fonte di ispirazione anche per fotografi e videoartisti.
Usando le parole di Andrej Tarkovskij, “Antonioni fa parte della ristrettissima schiera di cineasti-poeti che si creano il proprio mondo, i suoi grandi film non solo non invecchiano ma col tempo si riscaldano”.