Da quando la prima stagione di Daredevil fece quasi gridare al miracolo, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, tantissima, e l’entusiasmo iniziale si è progressivamente affievolito, fino a raggiungere record negativi con quel The Defenders che in realtà avrebbe dovuto rappresentare l’acme del franchise.
Da lì Netflix ha provato a correggere il tiro, dapprima affrettandosi a produrre lo spinoff su The Punisher e poi lavorando a un interessante arco narrativo basato sul passato e sui rapporti familiari in Jessica Jones 2. Ora stava alla seconda stagione di Luke Cage confermare il trend, e fortunatamente l’esame è più che superato.
IL SOLITO TONO GENERALISTA, MA NON MANCANO LE SORPRESE
Il nuovo ciclo di episodi da poco pubblicato sulla piattaforma di Hastings è ben lontano dall’essere perfetto, e risente di quelli che sembrano ormai essere i difetti comuni a una famiglia di serie supereroistiche le cui sorti vengono decise attraverso ricerche di marketing e analisi dei big data: il tono del racconto si limita a incupire leggermente una matrice che rimane sostanzialmente generalista, gli spiegoni di cui sono costantemente infarciti i dialoghi possono mandare ai matti gli spettatori più smaliziati, la predilezione del pubblico per i colori accesi finisce per comportare una fotografia spesso tanto esteticamente notevole quanto incoerente con le atmosfere della serie, e la necessità di fidelizzare i bingewatcher porta sempre ad allungare il brodo per molti più episodi di quanti non sarebbero realmente necessari. Premesso ciò, Luke Cage 2 riesce comunque a proporre idee innovative e a trattarle con un coraggio decisamente inaspettato per uno show del genere.
VECCHIE CONOSCENZE E NUOVI PERSONAGGI
Prematuramente e colpevolmente escluso dalla serie il superlativo Cottonmouth di Mahershala Ali e superato senza traumi il trascurabilissimo villain Diamondback, il guardiano di Harlem Luke Cage (Mike Colter) è rimasto a contendere il quartiere alla boss Maria Dillard (una Alfre Woodard terribilmente penalizzata dal doppiaggio italiano). Shades (Theo Rossi) è diventato – con non poche forzature da parte degli sceneggiatori – l’amante di Maria e Misty Knight (Simone Missick) ha finalmente il braccio robotico dei fumetti. Danny Rand/Iron Fist fa una comparsata non terribile ma decisamente forzata, e ritroviamo, forse per l’ultima volta, la Claire Temple di Rosario Dawson.
A rappresentare la new entry più importante di questa stagione è il potente criminale Bushmaster (Mustafa Shakir), che incarna tanto una sfida al regno criminale della Dillard, quanto una minaccia fisica per Cage. Bushmaster infatti si può permettere di scontrarsi senza esclusione di colpi col protagonista, grazie alla superforza che gli viene infusa dalle pozioni della giovane Tilda Johnson (Gabrielle Dennis), destinata a diventare la Nightshade dei fumetti.
NON ABBIAMO MAI VISTO UN SUPEREROE COSÌ PROBLEMATICO NEL MCU
In questa stagione il protagonista, pur rimanendo sostanzialmente il bravo ragazzone tutto gentilezza e buone intenzioni che conosciamo, non riesce quasi mai a farne una giusta.
Luke Cage è più forte che mai e soprattutto è consapevole di essere diventato un brand: si fa selfie con gli ammiratori, pronuncia frasi ad effetto alle telecamere, è costantemente rintracciato da un’apposita app, accetta che venga venduta una linea di prodotti di abbigliamento a lui ispirata (che introduce intelligentemente il suo pseudonimo di Power Man) e si attiva perché il marchio “Luke Cage” non venga adottato nei contesti sbagliati (ad esempio come nome per una droga).
Però la notorietà non porta automaticamente il pane sulla tavola, e così il protagonista finisce per far cassa grazie ai propri poteri nel più inaspettato dei modi: facendosi prezzolare da loschi personaggi per garantirne l’incolumità dalle guerre tra gruppi criminali che imperversano sul ‘suo’ territorio. Finisce insomma per fare, per soldi o per vocazione, la guardia del corpo addirittura dei suoi nemici. Lavoro che, va detto, fa con un’imperizia disarmante.
Come se non bastasse, Cage ha anche degli accessi d’ira che, combinati con la sua forza sovrumana, finiscono per farlo risultare minaccioso anche agli occhi di chi gli è vicino.
Delle premesse del genere non possono che portarlo lontano dal tradizionale percorso dell’eroe, e infatti in questa seconda stagione di Luke Cage l’idea stessa di eroe sembra perdersi quasi del tutto, mentre la distanza tra buoni e cattivi, vigilante e gangster, si accorcia drammaticamente, fino a sparire. Uno degli spunti migliori di Luke Cage 2 infatti è proprio quello di collocare ogni personaggio in una zona grigia in cui si finiscono per dimenticare gli ideali, mentre la guerra di quartiere travolge tutti.
I PERSONAGGI A TUTTO TONDO E L’ABBATTIMENTO DELLA BARRIERA TRA BENE E MALE
L’idea di Harlem come una terra di frontiera, in cui anche il personaggio più positivo della serie finisce per soccombere ripetutamente ai compromessi e in cui la violenza a volte è tanto esplicita da arrivare quasi a scioccare lo spettatore, è tanto solida e ispirata da costituire la vera ossatura di questo ciclo di episodi.
Il trattamento tridimensionale riservato a Cage diventa fondamentale anche per gli antagonisti, e tanto Bushmaster quanto Maria Dillard e Shades finiscono per diventare villain spietati e spregevoli con i quali però si riesce addirittura a empatizzare, e per i quali a volte quasi si ha la tentazione di parteggiare. Discorso simile anche per Nightshade, che viene introdotta nella dimensione televisiva con una rilettura che predilige le sue doti di chimica ignorando però il talento nella robotica, e che potrebbe riservare per la terza stagione della serie il suo esercito di ‘uomini lupo’ comandati dai feromoni (tanto che nel finale di stagione la vediamo finalmente con l’iconica pettinatura dei fumetti).
È proprio il finale di stagione a riservare le sorprese maggiori, e l’arco narrativo del protagonista finisce per rendere Luke Cage 2 una delle serie supereroistiche più interessanti mai scritte.
Netlix stavolta, nonostante i difetti tipici del format Marvel del web service, ha fatto pienamente centro e, anche se l’eccessivo numero di personaggi risulta dispersivo, va riconosciuto il coraggio di un arco narrativo in cui nessuno vince o conquista ciò che vorrebbe. I toni rimarranno generalisti e i dialoghi a tratti didascalici, ma la seconda stagione di Luke Cage fa piazza pulita della retorica e di quasi ogni topos della Marvel, ragionando con grande originalità sul personaggio di un vigilante. E poi gli intermezzi musicali varrebbero da soli la visione.