Il classico del cinema muto Il Golem – Come venne al mondo (Der Golem – Wie er in die Welt kam, 1920), scritto e diretto da Paul Wegener, è il film scelto per la serata di Pre-apertura di martedì 28 agosto della 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, che si terrà nella Sala Darsena (Palazzo del Cinema) al Lido.
Il Golem sarà proiettato in una nuova copia digitale tratta dal negativo originale ritenuto perduto, con un restauro in 4K a cura della Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung di Wiesbaden (Germania) e della Cinémathèque Royale de Belgique (Cinematek) di Bruxelles, presentato in prima mondiale. Il restauro digitale è stato eseguito dall’Immagine Ritrovata di Bologna.
La proiezione de Il Golem sarà sonorizzata con la musica originale del maestro Admir Shkurtaj commissionata dalla Biennale di Venezia, eseguita dal vivo dal Mesimèr Ensemble così composto: Hersjana Matmuja (soprano), Giorgio Distante (tromba in sib, tromba midi), Pino Basile (cupafon – set di tamburi a frizione, percussioni, ocarina), Vanessa Sotgiù (sintetizzatore, pianoforte), Iacopo Conoci (violoncello), Admir Shkurtaj (direzione, elettronica, fisarmonica, pianoforte).
La 75. Mostra del Cinema di Venezia si terrà al Lido dal 29 agosto all’8 settembre 2018 diretta da Alberto Barbera e organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta.
Il Golem di Paul Wegener
Ambientato nella Praga del 16° secolo, Il Golem racconta la favola ebraica della creatura fatta d’argilla e portata alla vita dal rituale arcano di un rabbino. Prevedendo la prossima espulsione degli ebrei dalla città, il rabbino Loew (Albert Steinrück) risveglia il mitico Golem per proteggere il suo popolo. Dopo una serie di eventi, il Golem salva la vita dell’Imperatore (Otto Gebühr), convincendolo a non cacciare più gli ebrei. Ma per colpa degli intrighi di un servo geloso (Ernst Deutsch), il Golem va fuori controllo e si rivolta contro il suo creatore.
Il regista e sceneggiatore Paul Wegener, che interpreta anche il Golem, aveva già adattato in precedenza due volte la storia, nel 1914 e poi nel 1917. Ma solo il suo terzo tentativo, guidato da una grande ambizione artistica, gli fece ottenere un ampio consenso. La sua eccezionale regia, con le scenografie di Hans Poelzig e la fotografia di Karl Freund, fece de Il Golem uno dei film più apprezzati e famosi del cinema di Weimar. Il film diventò un grande successo internazionale per l’industria cinematografica tedesca del muto, con proiezioni esaurite per mesi anche negli Stati Uniti e in Cina. Il suo emblematico stile espressionista ha influenzato i classici hollywoodiani dell’orrore e la cultura popolare fino a oggi.
Il restauro
Nessuna copia della versione tedesca è sopravissuta de Il Golem. Un restauro fotochimico del 1990 si basa sulle versioni per l’estero. La scoperta di un negativo originale conservato dalla Cinémathèque Royale de Belgique (Cinematek) di Bruxelles ha dato l’occasione per un nuovo restauro digitale in 4K della perduta copia tedesca a cura della Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung di Wiesbaden (Germania) e della Cinémathèque Royale de Belgique (Cinematek). Questo negativo ha un montaggio con riprese diverse rispetto alla versione per l’estero. Come era costume all’epoca, le riprese dei due negativi sono state filmate con due cineprese in parallelo. Il negativo della Cinémathèque Royale de Belgique (Cinematek) è il migliore in termini di angolo di ripresa e di montaggio. Un controtipo della versione per gli Stati Uniti (conservato dalla George Eastman House di Rochester) sembra indicare che a un certo punto questo negativo sia stato usato per il mercato statunitense. È molto probabile che esso fosse in origine il negativo principale, quello destinato alla distribuzione tedesca. Come risulta dai tagli per la distribuzione negli Stati Uniti, diverse sequenze sono state abbreviate.
Oggi il negativo originale è mancante di qualche inquadratura. Alcune di queste sono sopravvissute nel materiale della George Eastman House. Un’altra fonte di completamento è una copia in bianco e nero della Cinémathèque française, realizzata dal negativo per l’estero.
Il negativo originale contiene molti intertitoli nella grafica originale espressionista che non erano disponibili per i precedenti restauri. Insieme ai titoli che il Filmmuseum di Monaco di Baviera ha ottenuto dal Gosfilmofond russo, il nuovo restauro presenta quasi tutti i titoli nella celebre grafica originale.
Il restauro digitale dell’immagine include la rimozione dei danni (punti bianchi, graffi e microlesioni) sofferti nei decenni dal negativo originale, nonché l’adeguamento e il completamento delle fonti il più vicino possibile al negativo originale. Il restauro digitale è stato eseguito dall’Immagine Ritrovata di Bologna.
Il riferimento per i colori e la scala tonale del bianco e nero per poter ristabilire l’originale scala di grigio e il tipico effetto della colorazione originale è stato quello della sola copia originale d’epoca conosciuta di questo film: la versione per l’Italia conservata alla Cineteca italiana di Milano.
La musica
A proposito della musica originale con cui Il Golem sarà accompagnato nella serata del 28 agosto, il maestro Admir Shkurtaj ha dichiarato:
“La sonorizzazione del film di Wegener coinvolge il compositore per le molte metafore latenti o nascoste che egli si sente stimolato ad identificare e a sviluppare con il suo linguaggio. È così che come il saggio-mago Löw plasma con le sue mani dall’argilla lo strumento destinato a salvare la comunità di cui si sente responsabile, anche l’organico orchestrale stabilito per questo lavoro è stato chiamato a realizzare artigianalmente da sé gli strumenti finalizzati all’esecuzione.
Il Cupafon utilizzato dal percussionista è uno strumento originale nato dalla sua stessa ricerca su un idiofono a bacchetta sfregata diffuso nelle aree di Puglia e di Basilicata; per di più tale strumento si suona bagnandosi continuamente le mani esattamente come si fa per lavorare l’argilla. Altrettanto frutto di lavoro artigianale è la tromba midi, anche se realizzata applicando circuiti elettronici sul metallo dello strumento. Qui il ruolo svolto dall’acqua per plasmare la materia sonora da parte del suonatore di Cupafon è svolto ancora una volta artigianalmente dall’elettronica. E così di seguito per il resto dell’organico a cui è stato chiesto di fare continuo riferimento al modus operandi dell’artefice che non intende seguire passivamente le modalità esecutive accademiche e canoniche.
Tutto il lavoro fa riferimento a un lessico musicale disomogeneo, rispecchiando la aleatorietà di forma che è propria della creta; un impasto in cui si possono riconoscere elementi di jazz, di musica contemporanea, di moduli melodici e ritmici della tradizione musicale dell’Est europeo e di musica elettronica.
La geometria e l’impronta materica degli edifici in cui sono ambientate le scene trovano riscontro nei suoni concreti registrati dall’ambiente reale e riproposti per mezzo del sintetizzatore. L’uso dell’elettronica, a prima vista inadatto per la sonorizzazione di un film muto degli anni Venti, trova giustificazione per l’analogia con l’imprevedibilità del destino di ogni creazione umana: la tecnica, una volta uscita dalle mani dell’artefice, è destinata a vivere di vita sua. Così come intende fare il Golem.
Insieme alla partitura e come complemento di essa, gli esecutori sono tenuti a seguire anche i fotogrammi del film per assecondarne, come in ulteriori indicazioni di andamento, gli sviluppi emotivi.
Un’ultima analogia che coinvolge in modo particolare il compositore di musica contemporanea in questo lavoro di sonorizzazione, è quella che lo vede impegnato, esattamente come il rabbino Löw, in un’opera di ricerca spasmodica al fine di dare vita ad una materia inanimata che per uno è la creta, per l’altro sono i suoni. Entrambi inoltre devono faticare per non andare incontro alla disapprovazione da parte del contesto sociale per il quale, in definitiva, entrambi lavorano. Il Golem viene deriso e temuto alla sua presentazione in pubblico alla pari di una produzione sonora che si propone di superare le convenzioni e i canoni stabiliti. Se il rabbino con la creta avesse realizzato dei vasi o delle pentole avrebbe certo ricevuto un più facile consenso, ma non avrebbe convinto l’imperatore a risparmiare la sua gente. Il suo tentativo di andare oltre e di tentare l’impossibile, è dell’identica natura del tentativo che fa nel suo campo il manipolatore della sostanza sonora, che prova a trovare nuove combinazioni e nuove alchimie nel linguaggio dei suoni”.
Admir Shkurtaj – Note biografiche
Admir Shkurtaj (Tirana, 3 dicembre 1969) ha iniziato gli studi musicali nel 1984-88 al liceo artistico musicale “Jordan Misja” di Tirana, in Fisarmonica. Nel 1989 intraprende gli studi di composizione al Conservatorio, per proseguire in Italia nel 1991 al Conservatorio statale “Tito Schipa” di Lecce, dove si diploma nel 1999. Segue corsi di perfezionamento con Sandro Gorli (1994–1996) e poi con Alessandro Solbiati (1999-2002), che saranno importanti per la sua formazione compositiva. Si diploma in Musica elettronica nel 2009 ed esercita la sua attività come compositore, strumentista improvvisatore. Scrive musica per formazioni cameristiche e orchestra, teatro e film.