Negli ultimi anni sono pochi gli show che sono riusciti a raccontare l’attualità geopolitica in maniera dettagliata come Homeland: la serie di Showtime, a partire dalla quinta stagione, è stata in grado di reinventarsi grazie ad una struttura semi-antologica che ha permesso alla creatura di Alex Gansa e Howard Gordon di trattare tematiche estremamente scottanti (come, ad esempio, gli attacchi terroristici di matrice islamica in Europa). Questa volta, dopo una sesta stagione in cui la democrazia americana era a rischio per colpa di una Presidente degli Stati Uniti con manie di persecuzione, l’arco narrativo si ricollega direttamente ad uno degli scandali più spinosi della storia recente degli USA: il Russiagate.
LA RUSSIA TENTA DI MANIPOLARE LA DEMOCRAZIA AMERICANA
La Presidente eletta degli Stati Uniti Elizabeth Keane (Elizabeth Marvel), dopo gli eventi del season finale dello scorso anno, decide di usare il pugno duro nei confronti di coloro che, secondo le sue valutazioni, avrebbero cospirato contro di lei: nel suo delirio paranoico, la Keane ha messo agli arresti inizialmente anche Saul (Mandy Patinkin). Tuttavia la Presidente eletta si muove su un terreno costituzionalmente molto scivoloso e, per questo motivo, la Russia ne approfitta: attraverso un piano estremamente sofisticato, il governo russo vuole rovesciare l’amministrazione Keane. Carrie (Claire Danes), alle prese con il peggioramento del suo bipolarismo, intuisce però l’anomalia della procedura di impeachment e, con l’aiuto di un Saul riabilitato, interviene per sventare il tentativo russo di creare caos all’interno del sistema politico americano.
HOMELAND RACCONTA L’AMERICA DI TRUMP
Homeland da sempre si ispira alla realtà per raccontare le vicissitudini legate all’agente della CIA Carrie Mathison ma nel 2018, anche alla luce di ciò che sta succedendo nel mondo, lo show si è superato: il caso Russiagate ha evidentemente fornito agli autori materiale sufficiente per mettere in scena l’America di oggi, una superpotenza in crisi d’identità inserita in un contesto globale in continuo mutamento. Oltre al tema delle interferenze russe, capaci di minare l’assetto democratico di un paese all’apparenza inattaccabile, la serie di Gansa e Gordon riflette sulla gestione del potere da parte di governanti poco illuminati (qui sono chiari i riferimenti all’amministrazione Trump). A livello emozionale, Homeland non perde un briciolo della sua verve: i due showrunner, sin dai tempi di 24, sanno come strutturare un arco narrativo senza lasciarsi andare ad inutili digressioni e, anche quest’anno, il ritmo dei dodici episodi è sempre stato costante, grazie anche ai numerosi colpi di scena.
UNO SHOW COINVOLGENTE, NONOSTANTE I SUOI DIFETTI CRONICI
Certo, se andiamo ad analizzare più nel dettaglio ci rendiamo conto che il prodotto Showtime non è riuscito a correggere alcune sue criticità storiche: diverse storyline non sono state sviluppate in maniera ottimale (come quella di Brett O’Keefe, l’imbonitore televisivo anti-Keane perseguitato dalle autorità federali), troppo spesso lo spettatore è costretto alla sospensione dell’incredulità e l’evoluzione psicologica di alcuni personaggi lascia un pò interdetti (soprattutto quello della Presidente eletta, interpretata dalla pur brava Elizabeth Marvel). Non è un mistero che Homeland punti decisamente di più sul lato dell’intrattenimento, a scapito della credibilità di alcune dinamiche narrative, ma talvolta diventa difficile giustificare le leggerezze dello script (anche se si tratta ormai di un problema cronico dello show). Tuttavia, per merito delle straordinarie interpretazioni del cast (su tutti Claire Danes e Mandy Patinkin, molto più protagonista rispetto alle ultime stagioni) e della grande capacità degli sceneggiatori nel creare tensione, Homeland riesce comunque a coinvolgere il pubblico, disposto a chiudere un occhio pur di continuare a seguire le vicende di Carrie.
Homeland non è più la grande serie degli esordi (nel genere spy, il punto di riferimento è il ben più raffinato The Americans) ma rimane sempre uno show importante che ritrae i tempi difficili che stiamo vivendo; il plot twist finale, che vede una Carrie in condizioni psicofisiche molto precarie, lancia la volata ad un’ottava stagione (probabilmente l’ultima, secondo quanto dichiarato da Claire Danes) che potrebbe vedere la nostra spia impegnata in Medio Oriente, territorio tornato ad essere una polveriera di guerra.